Raffaele Vrenna senza il Piano B. Crotone psicologicamente alle corde sul limite del crollo

18 febbraio 2017, 20:31 Trasferta Libera

Vito Barresi | Trasferta Libera



Non ci sono mosse imprevedibili nel duello tra Atalanta e Crotone. Se non quella che lascia in ‘out’ per qualche minuto, fermo tra il tunnel e il rettangolo, l’arbitro Banti, inopinatamente, afflitto da qualche problemino muscolare. Niente di particolare, se non il dettaglio della cronaca di una partita oltremodo scialba, senza impennate, svogliata come il numero degli ammoniti in casa Crotone, dove il respiro si fa corto e sempre più affannoso, come davanti a un passaggio a livello inchiodato che non si alza. Anche per dire che nessun altra mossa d’attacco si è vista in campo, se non l’ormai sconfitta di routine di una squadra che avrebbe bisogno immediato delle cure di uno psicoanalista. In campo ormai non sono in undici da regolamento ma in uno, con nessuno, davanti a centomila. Primo tempo in auto di cortesia, con parità da tripla fissa, e un Crotone che si arrampica incredulo sullo specchio atalantino, crogiuolandosi fin troppo nella convinzione di continuare a irretire l’attacco nerazzurro. Tre minuti all’alba ed ecco scoccare, appena ad avvio della ripresa, il vantaggio segnato con strappo improvviso dall’attaccante Conti, suggellato dallo squillante fischio dell’arbitro ritrovato.


Fa belle cerimonie il team di Nicola ma sotto il manto erboso si capisce che qualcosa non germoglia. La magica quanto fantomatica smazzata in classifica viene sempre rimandata alla prossima puntata. In verità quest’anno al patron Vrenna la mano non gira da sola. Avrebbe bisogno di qualche additivo atletico che purtroppo manca ai rossoblù. Che ormai si ritrovano psicologicamente alle corde. Andata e ritorno forever Atalanta, la solida squadra di Gasperini che avanza nel suo cammino, complice un sempre più preciso e scaltro allenatore, che saluta ancora una volta i suoi ex dirigenti con una cordiale stretta di mano e un sorrisetto garbatamente sornione, un ti voglio bene ma non ti do niente.

Davide Nicola ha solo il tempo malinconico di raccoglie le sue cose in panchina. E ritirarsi lesto e mesto a recitare la parte, per sciorinare ancora una volta in sala stampa le sue ormai prevedibili giustificazioni. Benchè la speranza, una dama di picche che possa darci l’incipit di una possibile ripresa, resta sempre sullo sfondo come un gran finale, meglio farebbe la squadra a dedicarsi al bridge, magari soltanto per rimodulare un modello plausibile di addio al sogno, o all’avventura che dir si voglia, della Serie A.

Non che qui si avanzino critiche fin troppo facili. Ma è evidente, plateale per tutti i tifosi, che la demotivazione galoppa in testa ai calciatori. E questo per ripetere che l’impasto di Nicola non trova alcun amalgama, non ha il sapore né di un brodo primordiale né tanto meno di un minestra collettiva. Il suo assetto molto variabile resta un pentolone sciapo, del tutto privo di forza lievitante.

Al contrario del declamato passo dopo passo, si finisce ogni volta per giocare alla giornata. Con l'aggravante di non avere neanche più la versione di riserva, il piano B inteso proprio, come la via d’uscita per la retrocessione.

Insomma una ‘exit strategy’ degna di questo nome. Va da sè che l’importante è partecipare. Perché comunque ci stiamo divertendo. Ma che amarezza, direbbero i Cesaroni…