Cari amici, buona domenica. C'è vento, di nuovo. Lo sento còrrere tra i rami, tra le foglie appena nate, e sembra l'unica cosa ad agitarsi in questa quiete. Io, da sempre attratto dai futuristi (con la loro velocità), da un po' trovo nella lentezza domenicale un riparo, una copertura, un mantello, uno scapolare. Un vero e proprio rifugio dalla follìa degli altri giorni. Nel silenzio rarefatto della domenica mattina, oltre al vento in giardino, sento l'andare (lento) dell'orologio, il respiro del mio cane, addirittura qualche tarlo che (con calma) si mangia il comò nell'altra stanza.
In silenzio ripenso a tutte le mie capitolazioni, le rinascite, gli impantanamenti. Rivedo i miei oggetti, i desideri, i giornali vecchi (alcuni mai letti), i libri letti più volte, gli appunti (di chissà quando) su cose sconosciute, ignote, dimenticate (un peccato). Di domenica mi pare tutto diluìto, e io ho tutto il tempo del mondo. Le cose non si accavallano, e posso risolvere (ma uno per volta) tutti i problemi del mondo. E allora se ho fame, ho tutta la fame del mondo. Se ho sonno, ho tutto il sonno del mondo. E poi ho tutta la forza del mondo, tutta la stanchezza, la concentrazione giusta, e, a sera, tutta l'ansia del mondo (per il lunedì, per la settimana, il nuovo inizio) (e per tutti gli inizi del mondo).
Da tempo, ormai, mi accorgo (con un po' di meraviglia) che inavvertitamente sto provando a trasferire pezzi di questa perfezione provvisoria nel resto della settimana. Sto imparando a portare un pò di domenica negli altri giorni, e così, al supermercato cerco la fila più lunga, in macchina cerco la corsia più lenta, in ogni occasione l'interlocutore più letargico.
Vorrei portarmi dietro la calma, l'attesa, la possibilità di scegliere tra còrrere e restare. Di questa domenica non potrò portarmi appresso il silenzio, i pensieri, il colore, ma sicuro, almeno per due giorni, mi porterò di stanza in stanza il profumo di questa genovese che (lentissima) sta andando da due ore. Buon pranzo.