Vito Barresi
Cambio Quotidiano Social
Se è cane affamato che non teme bastone stia al suo posto Gerardo Mario Oliverio, ragioniere e politico, dopo quanto accaduto alla Sacal di Lamezia Terme. Se invece aspetta che la fame faccia uscire il lupo dal bosco, si sbrighi presto l’oligarca ex comunista, che domani sarebbe già troppo tardi, a rassegnare immediatamente le sue dimissioni da Presidente della Regione Calabria. E lo faccia, se rintraccia in se stesso ancora qualche ‘spissola’ a barlume di coscienza politica, perché tanta ormai è la sofferenza morale dei calabresi di fronte a questo stato di degrado impressionante in cui si trovano le istituzioni regionali. E’ del tutto evidente che gli arresti sulla pista di Lamezia non sono una manciata di feccia lanciata sui divani nel salotto buono del ricco e onnipotente mondo politico catanzarese. Sono l’eclatante conferma che qualcosa non va in quest’amministrazione regionale che si trascina senza alcun vigore e che sta portando ai minimi termini la qualità della vita pubblica, sociale ed economica dell’intera Calabria. Di certo siamo di fronte a un atto di giustizia penale che a pieno titolo è anche un fatto eclatante e di ampia e devastante valenza politica e istituzionale. Non fosse altro perché oggi, come appena ieri, non sono caduti in manette i soliti malfattori della ‘ndrangheta e neanche gli abusivi che vendono lupini alla curva di Germaneto. Ci sono i vertici della principale impresa regionale, con un bilancio di milioni di Euro annuali. Lor signori, colletti bianchi inamidati e rolex al polso, sono i pezzi più in vista e più costosi per l’erario regionale, alcuni tra i manager della Regione Calabria profumatamente stipendiati, tutti scelti in base ai gradimenti della politica che comanda. Presidenti di Società, consiglieri di amministrazione, consigliori di segreteria, collettori di voto di scambio. Altro che short list. Questo è un vero e proprio ‘papello’ infinito di faccendieri e sbriga faccende di alto grado, automuniti di uscieri e altri benefit, autisti, alberghi e viaggi pagati a forfait, gente che vive al soldo e al sole della Regione più inquisita d’Italia. Tra cui spiccano pure dirigenti regionali dell’agricoltura e ancor prima assessori e quant’altro personale di servizio e supporto all’attuale Giunta Regionale.
Invece di andare a brindare in coppa al VinItaly con seguito di uffici stampa pubblici e privati, Oliverio dica a tutti noi come ha convissuto in questi mesi con il vertice della Sacal caduto in manette. E che cosa abbiano deciso insieme di fare degli aeroporti calabresi. Specie di quelli chiusi a Crotone e a Reggio Calabria. Ci dica almeno come dovrebbero fidarsi i calabresi di quelle che saranno le sue prossime e insindacabili scelte di uomini o donne, che verranno nominati per rimpiazzare il presidente Colosimo e gli altri rimossi per forza di legge dalle loro postazioni. Ci dica, inoltre, se non doveva essere lui, se non era previsto nella sua azione ben retribuita, di vigilare sul buon andamento della Sacal, e se lo ha fatto o non lo ha fatto, per come legittimamente gli è assegnato e consentito, allorquando a fronte di una pesante indagine in corso, avrebbe potuto/dovuto farlo per tempo. E, inoltre, risponda e riferisca davanti ai calabresi e nelle sedi istituzionali dovute, il Consiglio Regionale, sul perché non lo ha fatto, lasciando Colosimo lungamente in quella casella tanto importante e strategica per lo sviluppo della mobilità aerea in Calabria.
Ora che la Procura della Repubblica di Lamezia Terme ha chiesto al gip l'applicazione di misure interdittive nei confronti di 12 componenti del consiglio d'amministrazione della Sacal, tra cui spiccano i nomi di Massimo Colosimo (presidente), Emanuele Ionà (consigliere), Vincenzo Bruno (consigliere, presidente della Provincia di Catanzaro), Gaetano Pignanelli (consigliere e rappresentante della Regione), Floriano Noto (consigliere), Roberto Mignucci (consigliere), Benedetto De Rango (consigliere), Francesco Grandinetti (consigliere), a conclusione di un'inchiesta condotta dai sostituti procuratori di Lamezia Marta Agostini e Giulia Maria Scavello, non si venga comunque a minimizzare col dire che si tratta solo di ordinaria operazione di polizia giudiziaria.
Lo chiamai pampino e non cetriuolo, forse ancora temerario di sua non dimentica storia antica di giovane stalinoide e populista, il figlioccio di Paolo Cinanni che si fece nel tempo lungo di quasi cinquantanni financo politico raffinato e scaltro statista, sinuoso potente all’ombra dei poteri romani.