Patrizia Muzzi
Cambio Quotidiano Social
Era da un po’ di tempo che un’amica mi aveva suggerito di leggere Le otto montagne di Paolo Cognetti (Einaudi, 2016), così quando l’ho visto sullo scaffale all’ingresso della biblioteca l’ho afferrato e me lo sono portato via. ‘È un libro che parla di due amici e una montagna’ dice l’autore. Vero. Di due amici, diverse montagne e di un padre, aggiungo io. Di due amici e della loro crescita. Di un padre da emulare, poi da ‘uccidere’. Perso e recuperato attraverso le mappe dei sentieri montani che ha solcato per anni e che il figlio ritrova dopo la sua scomparsa. Di una madre e della sua vita accanto ad un uomo che forse le è servito per fuggire dalla sua stessa famiglia nel tentativo di assolverlo.
Di un padre orfano, ansioso, insoddisfatto e incompleto, che cerca di coinvolgere il figlio nella propria ossessione per le vette solitarie, ma che come tanti padri rimane puntualmente deluso. Un padre che vive con un rimorso lacerante per qualcosa che è accaduto durante la sua giovinezza e che si sposa proprio con quella donna per riscattarsi. Un padre che cerca un surrogato del figlio nel suo migliore amico, Bruno, un montanaro capace di seguirlo sui sentieri più impervi. Ma non è solo questo.
È la storia di un ragazzo che diventa uomo. Un uomo che si crede diverso dal padre ma che eredita le sue stesse paure, il senso di inadeguatezza, di doversi per forza bastare. Non c’è spazio per le donne nella sua vita. Forse per la madre, che rimane comunque una figura di fondo, anche lei inadeguata per quelle montagne, per quel marito e per lo stesso figlio con i quali non entrerà mai davvero in comunicazione profonda.
C’è una grande malinconia che aleggia in questo romanzo. L’insieme di tutti i ‘non detto’ che ci portiamo nel cuore quando perdiamo qualcuno che per noi era davvero importante. Della memoria che ha di noi e che scompare con lui.
Si parla di montagna sì, ma non è lei la vera protagonista, per lo meno non come ce l’aspetteremmo. Nonostante le innumerevoli descrizioni benevole che il protagonista cerca di farne, la montagna è una sorta di creatura a cui delegare i pensieri peggiori, un luogo da dove si scappa e dove ci si rifugia, dove è più difficile trovare ‘quelli della pianura’ che fanno ancora più paura di quei luoghi così poco accoglienti: è il male minore?
Forse è proprio lei l’unica figura femminile di rilievo: una madre severa che tenta di allontanarci da sé ma dalla quale corriamo non appena ci sentiamo perduti e in cerca di quel perdono che nessun altro mai ci potrà dare. Pensandoci bene, è un romanzo da cui emerge tutta la nostra cultura cristiana senza però esplicitarla. Un romanzo che cattura.