Ciconte il cuore perdente del Pd catanzarese

Bravo, bravo, bravissimo. Ma fino adesso, confermano i sondaggi elettorali del momento, ancora perdente. Capelli lunghi, chioma bianca per non dire avorio. Non una penna grigia ma un bisturi d'oro zecchino, aria posata e sognatamente antiquariata, vestito d'abiti programmaticamente chic, eleganti e rispettosi dell'alea borghese e dell'inclinazione cerimonialistica, Vincenzo Ciconte è la figura su cui punta il Pd calabrese per ricominciare non diciamo da tre ma dalle ultime due consecutive sconfitte dopo l'era socialista di Rosario Olivo e le deludenti stagioni segnate dal fallimentare esperimento dell'allora giovane di belle speranze Salvatore Scalzo. Sconfitto a raffica sia da Michelino Traversa che dal pragmatico e d'alemiano - bersaniano di centro destra Sergio Abramo.


di Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social

Un medico importante nella nomenclatura delle moderne professioni, un pezzo da novanta delle arti liberali calabresi, un quadro sociale di carriera e prestigio, assolutamente contemporaneo, che da subito non è sfuggito all'attenzione di Renzi e della Boschi, restando un po' in penombra allo sguardo della Bindi e di Minniti, i due più noti dirigenti e leader della ‘catena dell'antimafia organica’, di stato e di partito.

Il neo candidato a sindaco del capoluogo regionale è il ritratto di una Catanzaro distinta e non volgare, l'esatto opposto della destra per non dire di quel disprezzato populismo che lo infastidisce come il quadretto simpatico e naif del gruppo 5 stelle giallorosso.

Dall'avversario Abramo quel che lo distanzia è il ruolo professionale, il vasto e ampio curriculum culturale e umanistico, il suo costante auscultare il cuore della gente.

E oggi, perchè no, quella che dipingono in quanto sua adamantina e disinteressata ammirazione, per l'affabulatore toscano, lo statista che sa camminare sui pezzi di vetro e che dicono ha due anime, il matterello dell'Arno, il gentiloni della Signoria, a ventricolo tricolore, uno di sinistra e l'altro popolare.

Così potrebbe anche essere che il candidato del PD Ciconte Vincenzo (cognome da non confondere con l'omonimo e più medializzato 'tutto-mafiologo’, Enzo) se alla fine vincesse davvero, e qualcuno favoleggia persino al primo turno, a guadagnarci sarebbero in tanti, compresi i contermini ultimi arrivati dalla destra di Scopelliti, adesso in quota Cesa, Galati, Sculco e via centristizzando.

Vincenzo Ciconte, altrimenti detto dagli antipatizzanti il nulla al cardiopalmo.

Si perché nella candidatura a Sindaco di Catanzaro di Vincenzo Ciconte c’è sempre una specie di pathos, un dramma, un’incomprensione, wied at hearth, perché lui non è Rosario Olivo, insomma un dirigente della vecchia sinistra laburista, nè Politano, nè Poerio, che era innestato tra politica e società.

Medico bravo o politico senza voglia? Ciconte sarebbe il by pass della Catanzaro dei nuovi ricchissimi, culturalmente prepotenti, intellettualmente arroganti, politicamente lussuriosi con orologio al seguito, alieni che hanno radicalizzato a modo loro una sinistra progressista finta e perbenista.

A puntarci sopra, comunque in pochi, come uno scommettitore di rango britannico, spicca l'ever green, l'old style della politica catanzarese, l'ex democristiano e poi Popolare Donato Veraldi, uomo di lunga e fortunata carriera politica dal Comune a Bruxelles, passando per la Regione e il Parlamento che già da tempo ebbe a dire quanto segue a tal proposito: “qui è il cuore del problema che pongo con un interrogativo dopo che, nei mesi, scorsi, un non inutile confronto sul ruolo della Città si è sviluppato con generosità ma senza quell’approdo che l’intensità delle riflessioni avrebbe meritato: siamo realmente pronti, a partire dal Consiglio comunale e fino al mondo dell’imprenditoria, passando per il Sindacato, le Associazioni culturali, le categorie professionali, gli stessi Partiti a “governare” questa delicatissima e decisiva fase della “catanzaresità” che deve e può mutarsi, ambiziosamente,in una vocazione “calabrese”?”

Tutto per alludere che il cavallo non beve o per evidenziare che esiste il cavallo e non la cavallinità?

Sono arrivato che era notte, in questo maggio di primavera a Catanzaro. Più o meno dopo l'una come dice un colto cantautore del luogo, quando per la città girano solitarie e sguscianti le auto blu dei politici e dei giudici blindati.

Non ero affatto assonnato e non cercavo neanche ombre di latitanti in città ma il riflusso giammai il riflesso notturno di una contesa antica, una campagna elettorale d’altri tempi, fatta di sentimenti, popolo, calore, identificazione.

Se proprio piace saperlo ai calabresi, non ho trovato nulla di tutto ciò. Fantasmi, zombie... neanche tanti, in numero pari a una bettola dove mangiare un morzello con l’origano. C’era solo un simpatico, ultimo indigeno, tra le viuzze del centro storico.

Sapete cosa mi ha confessato? Che venir qui per trovare la politica di una volta sarebbe come pretendere di sfamarsi con una minestra di Andy Warhol dipinta apposta, per Ferro e Fiz, e su commissione nel famoso Marca di Catanzaro. Vieni, vieni via con me Ciconte... andiamo a Germaneto.