Marco Minniti Ministro Disumano. La pesante accusa dello storico Revelli

Il giudizio, il pensiero, l'etichetta che ne deriva, il labeling in perfetto stile Asylum di Ervin Goffman, si potrebbe comunque dire una stigmatizzazione 'letteraria', una metafora anche se non fine a se stessa. Se non fosse che la comparazione che avanza un padre nobile della nuova sinistra italiana com'è Marco Revelli, storico, sociologo e politologo, non contenesse un dettaglio d'attualità particolarmente espressivo e politicamente, pesantemente significante. Proprio su questo, sull'accusa di disumanità rivolta in faccia al Ministro degli Interni, il calabrese Marco Minniti, è il caso di soffermarsi, almeno un istante con molta attenzione. Scrive Revelli, infatti, dopo un preambolo in cui cita il grande critico letterario di origine ebraica George Steiner, vincitore del Premio Crotone (“Noi veniamo dopo. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz”) che “anche noi veniamo dopo. Dopo quel dopo. Sappiamo che un uomo (Marco Minniti) può aver letto Marx e Primo Levi, orecchiato Marcuse e i Francofortesi, militato nel partito che faceva dell’emancipazione dell’Umanità la propria bandiera, esserne diventato un alto dirigente, e tuttavia, in un ufficio climatizzato del proprio ministero firmare la condanna a morte per migliaia e migliaia di poveri del mondo, senza fare una piega. Diciamolo una volta per tutte: non c’è un gran differenza tra il fascista ungherese Orban e il post-comunista italiano Minniti. Alzare muri di filo spinato alle proprie frontiere o costruire muri diplomatici al confine del deserto, nella sostanza, non cambia la natura della cosa: forse è più letale la seconda tecnica, perché consegna ai tagliagole delle tribù del Sael e del Fezzan uno jus vitae ac necis su uomini, donne, bambini, che scompariranno silenziosamente, lontano dai nostri sguardi delicati, fuori dalla portata d’azione delle famigerate Ong che s’intestardiscono a voler salvare vite. Denunciamoli, questi nuovi “specialisti del disumano”, al Tribunale dei popoli."


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social

Revelli, che aveva scritto a caldo la sua annotazione dopo lo scontro tra Minniti e la Ong Medici Senza Frontiere, sulla più pacata distanza di qualche ora, non ha smentito neanche una virgola del proprio pensiero profondo.

Anzi, in un editoriale apparso su il Manifesto, ha ulteriormente rincarato la dose, con argomentazioni ancora più approfondite e bibliograficamente fortificate: “la cosa può essere sembrata eccessiva a qualcuno. E il paragone fuori luogo. Ma non mi pento di averlo pensato e di averlo scritto.”

Non è mia intenzione ripercorre il robusto tracciato critico, sintetizzato sul lemma e la voce “umanità/disumanità”, fra l'altro ben stagliato da Revelli e ovviamente, per contrario, 'diminuito' dalla più fluente ragion di Stato del Ministro calabrese, che ha trovato subito sponda ideologica nel Triumvirato bellicista composto da lui, dal Capo delle Forze Armate e Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dall'interventista ambientalista, già direttore di Nuova Ecologia, Paolo Gentiloni, che gli hanno dato copertura e sponda.

Intendo, invece, sottolineare la valenza politica di una scelta che estende i suoi effetti anche a quel che apparentemente politico non è.

Perchè se ci sono delle cose che non si possono dire, tanto per riprendere Umberto Eco, è bene che si disvelino in tutto il loro senso, tipo la similitudine tra il post comunista Minniti e il fascista ungherese Orban.

E non tanto semioticamente, perchè Minniti si veste in 'total black', riporta la moda della camicia nera e il cranio calvo come quello di Benito, ma anche perchè certi scivolamenti 'storici', alcuni baratri in cui cadono foibe di memoria, si stanno drammaticamente rimaterializzando in questa oscura cronaca della Guerra di Libia in tempo di ferragosto.

In tale 'continuum di linee di tendenza', tra il passato e il presente della vita italiana, il nesso politico centrale risalta ancor di più, allorquando Minniti cavalca a tutto spiano la questione dei profughi, per prosciugare il mare elettorale della Lega Nord e di Salvini, recuperando al Pd una parte dei buoi che sono scappati dal proprio recinto sociale di riferimento. Magari rispolverando tutti i file e i dossier che furono cari a Bobo Maroni, stimato predecessore del ministro calabrese.

Se così fosse tutte le reazioni all programma neo colonialista ed elettoralista del leader in pectore Marco Minniti sono fondate e legittime. D'altra parte Revelli non inventa l'eclisse di luna in un secchio.

Quel che scrive riecheggia e rimbomba l'esempio paradigmatico e calzante dell'insanabile dissidio nel Labour britannico dove l'attuale leader Jeremy Corbyn ha sollevato la pregiudiziale sull'operato inumano di Tony Blair nella nefasta guerra anglo-americana che devastò l'Iraq di Saddam.

Blair, tanto caro al Pd, eppure accusato di orrendi crimini contro l'umanità, tanto da indurre Corbyn a votare ai Comuni la richiesta di una sua messa in stato d'accusa.