Si stanno già organizzando per entrare con le proprie teste di legno, i giovani virgulti della nuova criminalità transnazionale mediterranea, nel prossimo Parlamento che da qui a sei mesi dovrà essere eletto con Camera e Senato. Conoscono a menadito i percorsi, le stanze del potere, le vie per raggiungere in poche ore e minuti i centri decisionali nevralgici che stabiliscono le candidature e l'elenco degli uomini fidati che saranno al servizio degli affari illeciti che pullalano sempre di più sulle sponde del Mediterraneo. Nella lotta alla corruzione transnazionale e alla minaccia della geopolitica criminale nel Mediterraneo, l'attuale ceto politico che comanda in Calabria è in evidenza l'anello debole della catena di difesa e sicurezza dell'intero Paese. Ecco perchè a meno di sei mesi dal rinnovo del Parlamento italiano occorre prendere subito coscienza che l'attuale deputazione calabrese dovrebbe essere radicalmente e totalmente cambiata. Alla Camera e al Senato coloro che in qualche modo conoscono la demarcazione bordeline tra crimine e politica, quanti ne hanno coperto i segreti e le informazioni, non possono più rappresentare la Calabria davanti agli italiani. Anzi dovrebbero avere il coraggio di non ricandidarsi.
Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social
Il mutamento dell'assetto internazionale nel Mediterraneo aumenterà notevolmente il rischio dell'inquinamento e la crescita di fenomeni degenerativi. Il potere dei cartelli criminali regionali, Mafia, 'Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona, crescerà a dismisura conquistando territori e agibilità prima altrimenti impensabili.
Il nuovo crimine transmediterraneo modificherà nel profondo il profilo e l'identità dei sistemi politici locali del Mezzogiorno, specie in Calabria, dove tutto il ceto politico è a forte rischio inquinamento e di essere calamitato da soggetti affaristici di prorompente vitalità, assertività e successo.
Di fronte al determinarsi di un'ampia ed egemonica rete criminale transmediterranea che interconnette i traffici illeciti di Asia, Africa ed Europa, che ha l'obiettivo di conquistare il Sud Italia, molti uomini della vecchia politica risponderanno con il loro solito cinismo, indifferenza, egoismo e opportunismo.
Esistono oggi davanti alla collettività e al sistema pubblico democratico coscienze in grado di riflettere e agire per far si che in questa Regione Calabria si possa sconfiggere la corruzione, la malavita criminale e politica, costruendo nel tessuto associativo e istituzionale una forte e dinamica cultura della legalità e della giustizia?
Troppa gente per bene e tanta gente per male ha costruito in questi cinquanta anni di regionalismo un patto di potere che tiene in soggezione i calabresi, costretti a subire una schiavitù morale e materiale che richiama quella biblica delle tribù mosaiche in mano ai faraoni.
La drammatica fotografia di questa spaventosa e assurda sospensione della legalità non è un'invenzione della demagogia politica e del populismo ma è apparsa tracciata in numerose inchieste giudiziarie che purtroppo, nonostante gli arresti e le condanni penali, non sono riuscite a sradicare le cause socio-economiche e psico-educative che sono all'origine della criminalità, a prosciugare le fonti avvelenate che collegano la tenace persistenza associativa della 'ndrangheta con parti e apparati dello stato e degli enti locali che amministrano il territorio.
Di fronte ai nuovi impianti criminali che stanno risorgendo in Calabria, all'ombra della crisi della vecchia 'ndrangheta, molti rispondono che la priorità non è più la delinquenza organizzata ma l'emergenza profughi, magari evitando di ricordare che neanche pochi mesi addietro è stato messo a nudo il nesso che lega inestricabilmente accoglienza di stato, trame criminali, imprese di sostegno, ampi strati di società e pezzi rilevanti degli apparati dello stato.
Nonostante queste indagini ancora manca la mappa e l'identikit del nuovo potere criminale i cui confini geografici si sono allargati ad altre aree del Mediterraneo che fanno da connessione e rete con ben tre continenti, mettendo in rapporti d'affari e in prospettiva di mercato e crescita comune i traffici asiatici, africani ed europei.
Il tema di oggi, dopo il famoso e consumato stereotipo della 'mafia imprenditrice', è invece quello della geopolitica criminale e con essa della nuova minaccia che sta sorgendo dall'espandersi della criminalità transnazionale, un assetto inedito della cabina di regia mafiosa che vede la Calabria al centro del Mediterraneo.
Attualmente nessuno sembra essere a conoscenza della reale portata espansiva di questa ondata mediterranea della nuova criminalità, quale sia il grado e il punto di collegamento tra essa e la nuova 'ndrangheta in evoluzione.
Gli stessi inquirenti sembrano conoscere poco e confusamente gli snodi operativi e le risorse umane che interagiscono con un magmatico universo mediterraneo di affari illeciti, forse anche deviati da quella ideologia di comodo che per salvare alcuni gruppi di politicanti abbarbicati al potere ha messo in evidenza piuttosto il pericolo terroristico che non l'evoluzione del nuovo capitalismo criminale mediterraneo.
Al più ci si sofferma sulla figura del cosiddetto 'scafista', spesso di nazionalità apparentemente aliena dal contesto asiatico e africano, guardando piuttosto a ciò che affiora, ma non alla struttura portante dell'industria del malaffare che resta abbastanza coperta dietro la cortina fumogena della guerra in atto tra blocchi e stati alla conquista delle loro sfere d'influenza.