Montecatini e Pertusola: tra bene e male comunque simboli di uno sviluppo ormai lontano

25 ottobre 2017, 14:47 Calabria Domani | di Rodolfo Bava

Possiamo senz’altro affermare che la localizzazione delle due principali ex industrie di Crotone – Montecatini e Pertusola Sud è da ascrivere alla Sme (Società Meridionale Elettricità), a seguito della costruzione delle centrali elettriche nella vicina Cotronei. In modo diretto, dato che la Montecatini possedeva azioni Sme; in modo indiretto, dato che la produzione di energia elettrica era un fattore primario per le due industrie.

Pertanto, una serie di intrecci finanziari e personali - la Montecatini proprietaria di buona parte del pacchetto azionario Sme e Guido Donegani, Presidente dell’azienda ma anche Vice Presidente della Comit, a sua volta titolare di molte azioni della Società Meridionale Elettricità - facilitò di molto il progetto di portare a Crotone i due insediamenti. Industrie che godettero di tariffe elettriche quasi irrisorie per oltre un ventennio.

LA PERTUSOLA SUD

Diremo, innanzitutto, che la denominazione “Pertusola” è da individuare nel Comune di Pertusola (in provincia di La Spezia), dove è stato costruito il primo laminatoio italiano di zinco. Nonostante vi fosse, in Italia, uno stabilimento per la produzione di “zinco elettrolitico” a Monteponi (in provincia di Cagliari), la produzione, per la nostra nazione, non era bastevole. Ed ecco allora l’idea e la successiva iniziativa della società francese Pennaroya, proprietaria della fonderia Pertusola, di costruire uno stabilimento per la produzione di zinco alla periferia della città, affacciata sullo Ionio.

Pertanto, mandò un tecnico in città, al fine di individuare le caratteristiche necessarie per poter far sorgere l’impianto. Tecnico che rimase per ben tre anni (dal 1923 al 1926) e che diede il suo beneplacito dopo avere accertato quanto segue:

  • Acqua in abbondanza dal fiume Neto;
  • Massima disponibilità di energia elettrica a prezzi molto contenuti;
  • Utilizzazione del porto per l’importazione delle blende e l’esportazione dello zinco in pani;
  • Presenza della linea ferrata (poi, dismessa) Val di Neto per il trasporto delle blende e dello zinco tra il porto e la fabbrica e viceversa;
  • Possibilità di vendere in loco (alla Montecatini) l’acido solforico, un sottoprodotto per la fusione dello zinco.

L’impianto della Pertusola iniziò l’attività il primo luglio 1928. L’area occupata era di venti ettari. La produzione annua prevista si attestò sulle diecimila tonnellate. I dipendenti, per il primo anno furono 65; quasi raddoppiarono (122) nel 1929 raggiungendo il massimo picco nel corso dei primi tredici anni, con 410 dipendenti nel 1941. A causa della seconda guerra mondiale, nel corso degli anni dal 1943 al 1945, la produzione di zinco venne ridotta di molto, riducendo anche il numero degli addetti (132, 151 e 101).

A partire dal 1946 fu un crescendo di manodopera e di produzione, registrando nel 1980 ben 924 dipendenti ed una produzione di oltre 100 mila tonnellate (vale a dire: il 40 per cento della produzione nazionale di zinco). Oltre alla produzione di zinco: cadmio ed acido solforico. Grazie all’intuito di un tecnico, si provvide al trattamento dei residui e con la costruzione di due impianti si iniziò la produzione di germanio, indio, piombo, rame ed argento.

LA MONTECATINI

L’impianto della Montecatini (la prima denominazione era “Ammonia Meridionale”) sorse nel 1926, su una superficie di 20 ettari, a fianco di quello di Pertusola Sud, ed iniziò la produzione nel 1928. Fu il primo per la produzione di concimi nel Meridione d’Italia e la prima industria chimica nel Sud.

Come per Pertusola, apparvero identiche le condizioni strettamente locali per favorire l’installazione dello stabilimento: energia a basso costo, porto, ferrovia. Inizialmente, l’acqua necessaria veniva prelevata dal mare con l’impiego di elettropompe ma poi fu costruito – come ha già fatto alla Pertusola – un acquedotto che partendo dal fiume Neto raggiungeva lo stabilimento.

Ma, si osservò, vi era un interesse specifico per le vendite dei concimi, risultando il crotonese il “granaio d’Italia”. In una relazione, il Presidente della Montecatini, Guido Donegani, afferma ava: “L’impianto di Crotone assicurerà al Mezzogiorno il suo fabbisogno di prodotti azotati ed offrirà alla difesa del nostro Paese un validissimo aiuto…”.

Ma cosa vuol dire ciò? Ci viene spiegato dal collega Virgilio Squillace, con l’articolo Quando la fabbrica produce paura (pubblicato sulla rivista “Città Calabria” nel marzo 1985):

“L’ammoniaca (NH3) è un gas incolore, tossico, dal forte odore acre e penetrante, La grande importanza industriale dell’ammoniaca è dovuta, soprattutto, al suo impiego nella produzione di Sali di ammonio, usati come fertilizzanti. Però, l’ammoniaca entra anche nel ciclo produttivo degli esplosivi per la realizzazione della nitroglicerina”.

Oltre alla produzione dei tradizionali fertilizzanti, venne aperto un reparto per la produzione di superfosfati (con una produzione giornaliera di 10 mila quintali di solfato ammonico e di superfosfato). Successivamente nel 1930 nacque un impianto per la produzione di fosfato bi ammonico e di acido fosforico. Nel corso di tre anni (dal 1933 al 1936), furono aperti altri reparti per la produzione di acido nitrico, nitrati di calcio, di soda e di potassio. Subito dopo un impianto per la produzione di idrato sodico e potassico. Dopo il 1947 vennero aperti altri impianti per la produzione di metabisolfito, di cloruro ammonico e di oleum.

Nel 1957, la Montecatini era nel suo massimo splendore: con un consumo di 300 milioni di Kwh di energia elettrica; con l’occupazione di oltre 1.000 unità lavorative (tra impiegati ed operai); con l’invio di 180 mila tonnellate di merci mediante diecimila vagoni ferroviari; con il 75 per cento del movimento merci nel porto di Crotone; con la produzione di 1.350.000 quintali di fertilizzanti.

Alcuni anni prima della chiusura venne aperto il reparto per la produzione di polifosfati, da utilizzare nei detersivi, “affossato” da una considerazione, forse sbagliata, secondo la quale i polifosfati avrebbero potuto contribuire all’eutrofizzazione delle acque del mare.

LE CONCLUSIONI

A tal punto, sorge spontanea una domanda: “Un bene o un male le industrie, nel corso di un settantennio, a Crotone?” Senz’altro un “bene” – specie se si fossero premurate le due industrie in questione di frenare, con appositi filtri, la fuoriuscita di polveri dannose per la salute dei dipendenti e dei cittadini - perché da un borgo prettamente marinaro è poi sorta una città, una provincia.

L’incremento della popolazione si è, infatti, verificato con il sorgere delle industrie. Ecco l’evoluzione nel corso degli anni: Anno 1921: Abitanti 11.600; 1931: 18.700; 1936: 21.500; 1951: 32.000; 1961: 43.000; 1971: 51.000; 1981: 58.000; 2011: 58.880. Dopo 37 anni – dal 1981 al 2017 – la popolazione, purtroppo, è rimasta grosso modo identica, al di sotto dei 60 mila abitanti.

Le due industrie hanno spinto centinaia e centinaia di nostri conterranei, da ogni parte della regione, a stabilirsi a Crotone, per ragioni di lavoro. Ma la presenza di queste industrie ha rappresentato anche un “male” per ragioni ambientali (inquinamento) e di salute (tumori).

Certo, sarebbe stato meraviglioso se nel corso dei 70 anni, in assenza di industrie, fosse nato e cresciuto il turismo. Però eravamo in un contesto - e, purtroppo, continuiamo ad esserlo - in cui non sapevamo quale fosse il significato della parola “turismo”. Ed, ora, che lo sappiamo siamo privi di strade, di ferrovia, di aeroporto e di porto al fine di poterlo realizzare.

Rodolfo Bava