Cari amici, buona domenica. Oggi è incerto, quasi uno specchio del periodo. E’ giorno di elezioni, da qualche parte, e il voto è sempre l’esito di un bilancio, una sorta di bìlico tra credere e sapere. Da piccolo credevo che l'automobile fosse un frutto dell'età adulta (come la barba, il mestruo, la calvizie). Credevo che fatalmente, un giorno, venisse consegnata in omaggio, in conseguenza della raggiunta maturità anagrafica (quello che non era chiaro era il perché qualcuno acquisisse un'utilitaria, qualche altro una coupè).
Venturino Lazzaro | Cambio Quotidiano Social
Credevo che ogni mestiere fosse (per ognuno) una epifanìa, non una scelta meditata, sofferta, o ereditata. Credevo che la casa (dimensioni, aspetto, ubicazione) fosse frutto del caso o della fortuna (avevo qualche amico fortunatissimo) e che anche i quadri alle pareti fossero un parto della sorte, una dote del destino (nella mia stanza sarebbe potuto andare meglio).
Una sorta di "magico accordo" regolava rapporti, status, comportamenti, avèri. Tutto questo comportava nessuna possibilità di sindacare scelte altrui (dei miei), nè di recriminare su decisioni, o fatti, o tifoserìe. Il destino (o la natura) non si metteva in discussione.
Ma quando, nella stagione '63-'64, scoprìi che potevo "non" essere juventino (per scelta, per un altro caso, o per fortuna) senza che questo mi facesse ammalare, senza che fossi cacciato dalla classe, e senza che mia madre cominciasse (ancòra) a parlare di inferno, purgatorio e pentimento, la mia vita prese a scorrere in modo differente, per certi versi più fluido, per altri più farraginoso.
Prese corpo una sensazione di libertà (come un’ebbrezza), e la consapevolezza che, tra ripetuti rivèrberi di inciampi e colpi d'ala, tutto poteva improvvisamente essere contrattato, discusso, e, se andava bene, conquistato. In breve, potevo chiedere ragione a mio padre di quella orribile carta da parati nel salotto, a mia madre del merluzzo lesso (che come uno schiaffo arrivava ogni tanto all'improvviso), e a mio fratello del perché potesse fare merenda col Ciocorì (io, invariabilmente, pane e provola).
Non avevo risolto molto (la carta da parati è ancora lì) ma avevo raggiunto la cognizione che niente è immodificabile, fisso, preordinato. E soprattutto che non basta, non è sufficiente credere (è sempre una mezza fregatura). Meglio (e necessario) (o almeno consigliabile) è sapere. Dovrei concentrarmi sul pranzo di oggi, e invece (curiosamente), mi ritrovo a pensare, con insistenza, solo alla merenda. Oggi Ciocorì. Buon pranzo.