Il doppio ‘Giuoco’ di Walter Veltroni. Tra calcio e politica una vita in carriera dalla FGCI alla FIGC

15 novembre 2017, 15:11 Trasferta Libera

Era partito da giovane comunista italiano ed evidentemente nel suo ‘karma’ l’obbligo e il destino è quello di tornare, di casella in casella, di nuovo all’inizio e al punto daccapo. Se non fosse vero che senso avrebbe, allora, quella curiosa quasi coincidenza di due sigle, posta l’una in partenza di carriera, cioè all'epoca della FGCI, Federazione Giovani Comunisti italiani, l’indimenticabile e gloriosa corazzata Potiomkin dei post comunisti italiani, da lì salpati per i mari mai perigliosi verso il porto sicuro del massimo grado del potere politico italiano, ei fu siccome immobile, anche se a quel tempo non c’era Ciro, e l’altra d’arrivo a coronamento della scalata, che risponde all’acronimo FIGC, Federazione Italiana Giuoco Calcio?


Vito Barresi | Trasferta Libera

C’è tutta una gara di letteratura, romanzi e storia dietro il duello tra Tavecchio e Walter Veltroni. Che poi se osservi bene dissimula e nasconde lo scontro politico in atto tra i renziani d’attacco, i berlusconiani di rimessa, i dalemiani in difesa e catenaccio, più o meno tutti in cordata per impedire che avvenga di nuovo quel che per loro è maledizione e catastrofe, lo tsunami a cinque stelle anche nel mondo del calcio.

Lo stesso in grande formato di maggioranza, vittoria elettorale e governo, che aveva travolto le velleità e le smanie di potenza del perdente Giovanni Malagò per le Olimpiadi a Roma.

Una sfida, quella tra Tavecchio e Veltroni, che pare avviarsi al clou, verso il definitivo show down, dopo la clamorosa eliminazione della Nazionale ad opera di una efficientissima, quanto asciutta ed essenziale, Svezia che ha fatto fuori, sia all’andata che al ritorno, e con gran risparmio di forze ed energia, un’Italia svogliata e arrogante, che ha pagato in sole due gare tutti i peccati, le omissioni, gli sbagli, gli errori e gli orrori di un Tavecchio, coperto dal ministro Lotti, dal presidente del Coni Malagò e spalleggiato dall’allenatore Ventura finchè è stato in sella.

Schermata, all’insegna del fair play, la tenzone mascherata di regole, cavalleria e linguaggio poetico alla dolce stil novo, puntando esclusivamente sul cimento culturale, che sembrò agli strateghi di corte e ai partigiani di partito più consono e congeniale all’araldico emblema della doppia W veltroniana, prendeva il largo, si fa per dire, con la kermesse di un Tavecchio in vernissage che, nella suggestiva cornice del museo Maxxi a Roma.

Qui, davanti ai rappresentanti delle istituzioni politiche e sportive, il Presidente della Federcalcio presentava il nuovo logo, per dare a suo dire, una “nuova identità visiva della FIGC, guardando al futuro valorizzando la nostra storia”.

Poi lo 'scontro' si trasferiva a Torino con l’altisonante discorso bianconero di Veltroni all’inaugurazione in cornice Agnelli Family del Juventus Museum e della mostra «Black and White Time», luogo d'eccellenza per illustrare il sodo del suo programma d’assalto al Palazzo e cioè che “il calcio è un grande elemento ludico che scandisce il tempo ed entra nella storia, nella cultura di un paese, esattamente come la Juventus. La Juventus è sempre stata avanti rispetto al suo tempo nella filosofia sia del gioco sia della impostazione della società».

Neanche Benito si sarebbe così inchinato davanti al capostipite Giovanni Agnelli. Ma va da sé che tutto si fa per la carica in palio che è a dir poco ambita dal più blasè degli intellettuali romani.

Vuoi mettere una poltrona sul Tevere, globale, atletica, sportivissima, succulenta e suprema, come il giuoco calcio di rimessa, per dirla con locuzione aulica, arcaica e blasonata?

I titoli, comunque, l’onorevole Veltroni, da par sua li ha, eccome. Anche se, per quanto ancora di valore corrente, validi e, per la ‘diversità berlingueriana documentata in film Rai, mai sospetti di qualche antica menda di simonia, sarebbero purtroppo sigillati con la ceralacca della vecchia politica. Cioè ridondanti di bolli pontifici e papalini, quelli dell’era della partitocrazia, del consociativismo, magari di una o più versione del sempiterno Manuale del Cencelli.

Già perché Veltroni, in effetti, parte all'assalto del fortunato trampolino di una ben connotata lobby di potere romano, cioè la frazione del Pd denominata Modem, composta da Gentiloni, Fioroni e Minniti con la benedizione di Mattarella.

Da lì parte un curriculum vitae di tutto rispetto che ha un solo difetto: a leggerlo scatta il dubbio amletico che sia la fotocopia di un piccolo quanto simmetrico Giulio Andreotti.

Cosicché tale sentore di andreottismo aleggiante, finisce per svelare i limiti e le debolezza della sua candidatura,avanzata sul fotofinish della legislatura, in un momento di transizione politica particolaremente importante e delicato.

Tutta questa fretta di sistemare Veltroni in testa alle società sportive della Serie A, della Nazionale e dintorni, non sarebbe la perfetta sintesi del buon governo Gentiloni.

A chi converrebbe? Forse a Gentiloni, oppure a Matteo Renzi, o magari al giovine ministro Lotti che ha fortemente deluso sul campo della riforma del calcio l’intera platea sia sportiva che della politica?