C'è un possibile paragone, un qualche grado di separazione tra quanto accaduto nella bella ed elegante città europea di Parma, giardino d'Italia, culla di civiltà raffinate e umaniste, dove è morto il 'capo dei capi', la testa della Piovra mafiosa, il comandante supremo di Cosa Nostra, Totò Riina, e il lontano, isolato, periferico e cavernoso scenario di un Afghanistan (Pakistan-Abbottabad) devasto da guerre e terrore, dove venne ucciso, quasi come in una esecuzione solenne e spettrale, il capo del moderno terrorismo globale, il generalissimo dello scontro di civiltà, Osama Bin Laden?
Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social
Apparentemente nessun collegamento, alcuna azzardata comparazione. Anche se andando oltre la superficie, sotto la coltre di un mare profondo in cui è svanito il corpo di Bin Laden, qualche correlazione riflessa si potrebbe anche intravedere, ai fini di una più attenta e raffinata comprensione criminologica del mondo attuale.
Il tema, in entrambi i cold dead case non è solo quello determinante della morte irrisolta nelle sue ultime verità ma essenzialmente della narrazione pubblica mediale che s'incentra attorno alla personificazione del male, all'emblematicità del delitto, del peccato, del crimine, della malvagità riassunto nella vicenda umana e disumana di un solo personaggio.
Tuttavia al di là della singolarità biografica e delinquenziale vi è però anche un altro aspetto, lo sfondo, il terreno in cui si è sviluppato il carattere criminale del capo mafioso, il vertice della rete terroristica, la loro struttura organizzativa e i propri vincoli immorali ed ideologici.
Cioè quanto lo scrittore Leonardo Sciascia narrava in forma di contesto del male, ambiente mafiogeno che offre appigli e opportunità di crescita alle radici e ai fiori del male.
Il tema per questo, e in questo caso, non è soltanto quello del male incarnato nell'assoluto della personalità deviata e aberrante di Totò Riina, quanto il dato antropologico e sociologico che sta alla base della determinazione, al centro delle concause politiche, sociali e operative, che diventano il presupposto della carriera criminale e dell'affermazione del 'capo dei capi'.
Certo, nella comparazione tra la scheda di Bin Laden e quella di Totò Riina, come pure aveva già fatto per eguale similitudine Enrico Deaglio (Vanity Fair n.19, 11/5/2011, La cattura di Osama? Come quella di Riina), si ritrova oltre al sostrato arcaico e comune di odio, vendetta e violenza che collega sia i fenomeni e i soggetti, anche la differenza di modelli di giustizia posti di fronte all'atto estremo della morte, vuoi per condanna capitale, vuoi per naturale trascorrere della pena carceraria, dove un conto è l'esecuzione americana, un altro il compimento di una giustizia delle cose a cui nessuno può sottrarsi.
Pertanto è da qui che può esercitarsi una prima riflessione sull'enfasi, anche smodata per non etichettarla altrimenti, posta sulla morte di Riina che avrebbe, al contrario, dovuto richiamare tutti a più sobri accenti di autocritica, dopo avere rimarcato i tratti repellenti di una vita dedita al delitto, all'ingiustizia, alla barbarie antisociale insita nella subcultura della mafia, della 'ndrangheta, della camorra e di altri consimili raggruppamenti delinquenziali.
Ciò perchè l'eclatanza della notizia non si ponga come momento di offuscamento, di nascondimento e persino di diversione di quell'insieme di responsabilità pubbliche, politiche, statuali e collettive che hanno agevolato ascesa e potenza del criminale.
Nulla delle tante zone d'ombra, degli sconcertanti patti scellerati, degli inconfessabili baci e connubi deve essere dimentica, niente dovrebbe dopo la morte del boss, finire seppellito con lui nella dimenticanza e nell'oblio della damnatio memoriae.
Chi ha avuto responsabilità? Quali furono e chi si prestò a fornire appoggi, coperture, connivenze, a ordire intrecci e trattative tra pezzi dello Stato e parti di Cosa Nostra?
Solo attraversando la memoria, e ricostruendola minuziosamente, esclusivamente con tale radicale scelta di verità sarà possibile continuare a scorgere il segno nefasto del male nel monito della memoria.
Nessuno può obliare la memoria e il passato. Rimuovere sarebbe il delitto più grave per accompagnare l'inglorioso trapasso del mafioso che torna ad essere seppellito nella nuda terra che lo generò. Terra che questa volta non sarà lieve.