Il sogno librario in un solo scaffale? Comporre, come su una tela, il grande affresco di una piccola biblioteca Iperborea, un granaio di carta lavorato di caratteri che guarda l'artico orizzonte dell'aurora boreale, colori e pagine con volumi pastello disposti a taglio di luce nordica in un angolo speciale della propria casa. Un giardino dell'eden librario dove l'algida brezza della conoscenza si riscalda in condensa emotiva fino a muovere le foglie cromatiche del pensiero, scuotere i rami di parole stampate che vivono tra terra e cielo, scie di sapienza in libri preziosi toccati con mani, tra fiordi romantici attraversati con gli occhi, odorati con il naso, accarezzati a pelle, razionalizzati nella memoria, nei pensieri immateriali che viaggiano nei nostri tempi.
Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social
Si, perchè trattandosi di desiderio indotto dai titoli e dalle copertine del sempre affascinante e attraente catalogo Iperborea, la casa editrice milanese che festeggia i trenta anni della sua fondazione, non resta che spingersi a conoscere e apprezzare ciò che, forse oggi, possiamo definire come la versione avanzata del più classico spirito del collezionismo di lettura.
Anzi quella smania che prende davanti a uno scaffale Iperborea è l'istinto ad accarezzare una sua collana, il piacere di leggere romanzi, avventure, saghe e racconti di un mondo pulsante con ordine lineare nella novella, nel diario.
Da qui nasce la pacifica e lucida sovversione al capovolgimento di un atteggiamento fin troppo scontato di ripulsa istintiva verso la tattilità culturale del libro, vezzo tanto in voga nel tempo nuovo del pensiero scritto e letto nella sfera del touch screen.
Iperborea è il piccolo tic, una speciale psico-mitologia, che fa ripartire di mente il gusto di leggere sbiadito dalle tecnologie. Basta fare il percorso inverso e andare a spasso sul sito immateriale per ritrovarsi sul bancone di un libreria d'epoca o sui bianchi ripiani di una libreria del post moderno,citazione di libri immaginati, suggestione vera di libri mai visti che tramutano in essenza del reale.
Iperborea è il tempo d'essere di un plurisecolare passato di carta che si rigenera nel ritorno del desiderio di lettura e con esso, allo stile di un collezionismo di qualità, vera e propria gioia d'iperboreismo, pieno godimento estetico e artistico della letteratura contemporanea.
Nella solitudine mai rumorosa delle edizioni Iperborea c'è comunque un piccolo libro ormai fuori catalogo che sta sempre in bella vista nella vetrinetta di famiglia.
Amore per i libri nato nella passione per le 'stanze biblioteca'. Quelle con scrittoio sempre stracolmo di nuovi titoli, aggiornati e frammisti in ordine sparso con i classici di ogni tempo, tomi, lapis e comodini di formazione, capitale simbolico accumulato e stratificato nell'inestimabile eredità culturale della famiglia Lodigiani, straordinario ghenos di sapienza, che si è sempre affiancato al capitale materiale di una praxis ampia e avvincente di progetti e cantieri, il costruttivismo tecnico dell'impresa ingegneristica ed edilizia, lasciato dal pater familias, Giuseppe Lodigiani, di professione ingegnere e capitano d'industria, per passione letterato ed uomo colto, che pure non scrisse per Iperborea, ma per i suoi cari figli e amati nipoti, il suo libro testamento.
Legittimo chiedersi se poi un imprenditore italiano, che ha vissuto ascesa e caduta del capitalismo nazionale, dal boom economico fino a Tangentopoli, possa aver scritto molto bene, con stile piano e sempre interessante, un libro intenso che porta in copertina il titolo 'Ciò che Credo', con evidente plus valore di testimonianza e mai incline al rischio di incorrere nelle spire di un trattatello teologico?
Era proprio vero che il millennio della carta stava svanendo definitivamente, l'oblio per il libro forma e contenuto, per le novità stampate come opere d'architettura editoriale, stavano per perdere il tasto identitario della percezione, del leggere bene talvolta anche in fretta?
Sinceramente, dicono i figli di un grande imprenditore, una 'dinastia' di costruttori che riempirebbe un manuale di storia dell'ingegneria civile non solo italiana, “eredi di un suo understatement e della sua ironia, non ci mettiamo a contestare la sua severità con se stesso, tessendo i suoi elogi, o facendogli notare che i difetti di cui ci accusa sono pregi agli occhi degli altri: ringraziamo comunque il cielo di avere avuto un padre “dilettante della vita” e non “professionista”, rimasto sempre curioso, aperto e disponibile, un “borghese sviato” con le sue passioni letterarie, artistiche e musicali...”
Non si potrà prescindere nel disegno di una storiografia economica del secondo dopoguerra italiano, nel cui catalogo ci sono nomi e volti ben stagliati, da questo libro apparente avulso dalla sezione di studio accademica, nonostante a suo modo si apparti a se stante ma non distante, già nel titolo dalle più accurate prospettive di studio e di ricerca.
La risposta è altrettanto affermativa al pari della veridicità dell'esperienza raccontata, se si tiene conto che questa piccola autobiografia di un ciclo familiare si apre e si chiude in quanto momento, interno corale di vita intima mai privatistica, quadreno di riflessione schietta, autentica, scritto al lato dei convulsi contrasti quotidiani di un 'economic struggle for life', assolutamente centrato e depurato, ridotto a sintesi umana, di ciò che conta nella vita.
Spaccato di vita famigliare nella scena domestica della casa di un imprenditore italiano di grande spicco, dove si sente l'eco di stanze di storia non solo dei Lodigiani in antiche memorie e ricordi d'impresa, la professione di fede di un imprenditore buono, e s'intravede lo spaccato dell'etica e della morale cristiana in epoca di modernizzazione sociale e modernismo spirituale, nella sua più forte quanto più sensibile e spesso controversa, sofferta declinazione cattolica del contemporaneo, in oltre un secolo di storia dell'industria italiana, ora definitivamente divenuta un reliquario confuso e disperso.
In questa chiave di lettura, la 'curiosa' e personalistica cristologia di tale diario, che non ha mai accenti di un nulla intimistico semmai di travaglio più profondo, si fa capitolo di una storia della mentalità e della sfera culturale di un imprenditore protagonista della storia economica e della sua evoluzione tumultuosa, ascesa e caduta di tanti capitalisti, del Novecento, tra primo e del secondo dopoguerra.
Rileggersi e rivedersi nella prospettiva storica della propria educazione sentimentale e imprenditoriale non è solo un esercizio weberiano, o forse sombartiano, o ancora meglio shumpeteriano, ma in primo luogo trasformare la memoria nel ricordo vivo di un augurio perenne.
Buon compleanno, casa Iperborea.