Malinconico Autunno tra ricordi ingialliti e sogni perduti ... | Venturino Lazzaro

Cari amici, buona domenica. Il tempo incerto induce, oggi, a una vena melanconica. A fine anno, verso Natale, quando il mondo sembra girare un pò più in fretta, e un pò più in ansia (quasi che da ognuno di noi dipenda chissà quale destino, chissà quale deriva), si cade ogni tanto, infatti, nella melanconia pensando agli anni andàti, o a quando anche questo, tra poco, diventerà "l'altr'anno".


Venturino Lazzaro | Cambio Quotidiano Social

La melanconia è un non so che "onto", un miele appiccicoso, un olio denso difficile da diluìre, e quasi impossibile da rilavare se ce l'hai spalmato addosso, se sei unto (appunto) o anche solo appena spennellato. È strana, complessa, la melanconia, a volte cupa, profonda, chiusa, altre volte invece è una sorta di languòre mite, dolce, caro, nel quale crogiolarsi.

Mi ricordo quando, da ragazzo, avevo un paio di scarpe che amavo oltre ogni cosa (portavo il numero 38), in cui mi riconoscevo, in cui mi rispecchiavo, e che (credevo) raccontassero qualcosa di me. Erano scarponcini (mio padre, allora, li chiamava "polacchine"), erano neri, di vacchetta poco stagionata, erano morbidi ma al tempo stesso dàvano un senso di solidità che mi rassicurarva, mi piaceva. Le ho portate fino a quando il mio piede è diventato 42, senza stringere e senza che si stancassero di me. Ci eravamo modellati, riplasmati, modificati vicendevolmente, piacevolmente, difinitivamente. Eravamo cresciuti insieme.

Poi, arrivato al 43, ci siamo, fatalmente, separati. Non è stato facile, e solo poche cose, successivamente, hanno cercato di meritare quel posto nel mio cuore.

A distanza di tempo (ecco, dev'essere questa la malinconia) non so capire se le mie scarpe di vacchetta le ricordo con gioia o con tristezza (anche perchè poi, al 43, mi sono fermato). Mi devo distrarre, rilassare, devo cucinare. Solo un ragù misto (di nuovo) mi può consolare. Per annegare delle scilatelle fresche, bellissime, tirate giovedì. Buon pranzo.