I Quattro Pittori del Secolo Breve. Sfortuniano Pagos Giordano Froio in mostra

28 dicembre 2017, 14:00 100inWeb | di Vito Barresi

Storie artistiche di quattro veri crotonesi, quattro pittori del Secolo Breve, orgogliosi e unici eredi della tradizione figurativa del Novecento, quella che va da Gaele Covelli alla pittura di respiro europeo di Nandino Mori. In mostra con opere di repertorio o di più fresca attualità tornano sotto il portico di Piazza Vittoria con la loro pittura figurativa postnovecento pitagorico, tutta concentrata in uno spazio con arco, galleria allestita in tempo record ed entusiasmo bricolage sulla scena cittadina di una Crotone sempre più vuota di idee, slancio estetico, più degradata che decadente, più strumentalizzata che abbandonata, alla mercè di un cattivo gusto politico tipico di vecchi marpioni e nuovi ceti affaristici della borghesia locale che hanno preso il comando comunale in una Crotone ormai priva di motivazioni culturali.


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Loro invece continuano a raccontare e sopratutto a rappresentare un epoca felice, di lavoro e progresso che non tornerà mai più. Iniziarono a dipingere quando ancora c'era il mito moderno delle industrie, le scuole tecniche e il magistrale erano affollati di giovani con forti speranze d'avvenire, in quell'inimaginabile età dell'oro e di benessere che entusiasmò una small town del sud.

Dove c'era pure chi voleva di più e nonostante in giro ci fosse tanto lavoro mai visto prima, andavano sognando maggiori soddisfazioni e redditi, a cercare fortuna nel nord del boom economico e della felicità affluente di una meravigliosa società dei consumi.

C'è questa memoria e con essa i reperti di tali quadri sociali sulle pareti che oggi raccolgono i segni evidenti di una generazione di artisti che ha saputo dipingere il locale colorandolo con la tavolozza dei grandi movimenti artistici contemporanei.

Splendidi i due monotipi di Antonio Sfortuniano che rimarca ancora una volta l'afflato con il segno preciso e pulito.

Paesaggi lunari che danno concretezza ai calanchi, la luna, il cielo, il personaggio. Ispirato dalla tenue pittura di Virgilio Guidi, questo artista è il vero interprete del Novecento crotonese.

Riservato, preciso, geloso delle sue tecniche e dei propri straordinari mezzi espressivi, partecipa una forza di spazializzazione pittorica e di evocazione affabulativa come poche se ne vedono nel sud.

Tratto, segno e precisione di un pittore venuto su dalla vita di fabbrica, vissuto alla cattedra liceale in un quartiere mediterraneo dove valorizzò l'esperire umano del mondo operaio chimico, metallurgico, sempre in bilico tra l'ornato e lo squadrato.

Un contesto umano e socio politico oggi del tutto sconosciuto e rimosso, da cui Sfortuniano attinse le tinte basiche, le forme perfette e geometriche di lune misteriose e magiche che illuminavano nei suoi slanci giovanili i cilindri di ciminiere industriali, belle di giorno e infernali di notte.

E poi la pacata e rafferma ma sottilmente incandescente argilla, che attutisce il rimbombare di echi antichi, a sua volta persino rumorosa e sonora, sulla tela intensa, autentica, fondale per figure armonizzate e mai contraddittorie tra il reale e il fantastico, il vero e il leggendario.

Lasciano immaginare le ballerine di Pagos.

Illusioni di un tango sudamericano in vestito rosso, desiderio di una vita ricca, sensuale, spensierata nei locali visti dagli emigranti, amalgama ad olio di balli campestri sversati sul pavimento in legno del Moulin Rouge.

Emozioni e sensi alla Boito e alla Pitigrilli non solo del notabilotto di paese in trasferta aristocratica nella affascinante metropoli francese, ma anche conquista del segno artistico, immaginazione formale e appassionata, straripante di slancio e vitalità che fu la Belle Epoque.

Pagos presenta paesaggi e ulivi, riaffermando il suo amore per i luoghi nativi, danza e teatro popolare, bella cromia che trova un posto di rilievo nell'arte del ricordo e della ricerca.

Poi i volti molto classicheggianti di Giordano, con la loro ammaliante e sottile inquietudine degli incarnati femminili.

Quasi un ritorno alle modelle pallide dal volto bianchissimo, identità che sembrano richiamare la grande lezione della pittura russa ottocentesca, con un qualche ricalco e ripresa in citazione del 'fiorentino' Gaele Covelli.

Giordano come sempre sorprende per la sua maestria nel trattare la figura. A prima vista il fondo oscuro respinge ma poi nello stesso tempo si è attratti dal mistero che emana e transluce da ogni sua opera.

Per finire, la mostra che non ha titolo si avvale delle opere sparse di Oreste Froio.

Tele che sono un festival di colori, testimonianza quasi 'militare' di tenacia pittorica, trasposta nei suoi paesaggi, vedute che rischiarano il quotidiano vivere meridiano. Pittura molto solare, consolidata abilità di tavolozza che registra una consapevole maturità nell'espressione artistica, con squarci immensi di Mar Jonio, con blu freddi che si riverberano nelle luci e nelle atmosfere ritratte. Quasi un confine tra la vita di costa e l'ultra spazio acqueo, da sempre sconosciuto alle rivierasche genti di Calabria.