Le sette volte di Mino Reitano al Festival di Sanremo, voce di Calabria ingiustamente accusato di ‘ndrangheta

Perchè in Calabria non si canta più, almeno come prima? Piccola storia della canzone pop, rock e d'autore in una regione rimasta senza palcoscenico a Sanremo. Già, sono praticamente tutti assenti i big calabresi, quelli in giro a far carriera e successo nel Paese e nell'Unione Europea. Non c'è Peppe Voltarelli e neanche Sergio Cammariere. Fuori per impegni Brunori Sas e Le Rivoltelle. Per non dire quel che resta del ghota magico delle grandi voci degli anni ruggenti, le ugole della rosa nel bicchiere, gli artisti nati nel secondo dopoguerra del Novecento, il secolo brevissimo per la Calabria, chiusi nei muri immensi di più ondate migratorie, i figli in fuga sui treni del sole dall'Aspromonte a Milano. Tipo la sempre graffiante Loredana Bertè. Di lei parleremo presto sebbene qui comincia l'avventura con un genere maschile. Insomma non si sentirà profumo di zagara e bergamotto tra le essenze musicali della sempre splendida località della costa ligure. Panorama soft che si staglia sui grattacieli multipiano televisivi per il kolossal cross mediale pre carnascialesco, il sempre affascinante, evergreen del festival della canzone italiana. E visto che in Calabria non c'è di che cantare, se stasera sono qui, tanto vale buttarsi in un mini revival, tra i ricordi di un tempo ormai quasi leggendario. Quello delle more? Anche un pò prima, era l'anno 1997 quando a Sanremo...


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social


Che dolore a ripensare che venne pure ‘mascariato’ nella sua amatissima terra. "Ignobile, una cosa ignobile": Mino bollò con sdegno le affermazioni di un pentito che lo accusava di essere stato affiliato di 'ndrangheta col grado di "picciotto".

"Sono esterrefatto", continuava a ripetere il cantante calabrese, "sono la persona più pulita del mondo, quando ho avuto la notizia pensavo si trattasse di una storia messa su da quelli di 'Scherzi a parte' ".

A metterlo in mezzo, forse solo perchè nato a Fiumara di Muro, locale dei boss don Ciccillo Furci e Nino Imerti, fu un collaboratore di giustizia, un "soldato" della cosca Iamonte che controllava parte della zona jonica reggina.

I fatti erano quanto meno fantasiosi: mentre si girava in Calabria il film "Tara-poki" (1972), venne richiesta una tangente. A dire di quel collaboratore non venne però pagata neanche una lira perché Mino si rivolse ai fratelli Furci che appianarono la questione". "Tutto falso, la lavorazione del film è andata liscia come l' olio. Sono cresciuto a Fiumara, conoscevo tutti, ma come si fa a dire certe assurdità".

Ma non fu certo questo fango buttato alla rinfusa, durante il processo Olimpia nel 1997, a screziare la potenza della sua voce, l'emblema del così detto bel canto all'italiana. Mino Reitano, il cantante di Calabria, 64 anni, viveva lontano dal sud, ad Agrate nella nebbiosa ma verde e ricca Brianza. Ma il sole della sua amata Fiumara lo serbava nel cuore e la luce mediterranea della bellissima Reggio tutta dentro lo scintillio dei suoi occhi.

Aveva uno spiegamento vocale generoso come il suo carattere. Era nato il 7 dicembre 1944 da una famiglia povera, studiando per 8 anni al conservatorio di Reggio. Trasferitosi giovanissimo in Germania, mosse i primi passi della carriera musicale assieme ai suoi fratelli (la band si chiamava proprio così: i Fratelli Reitano) dandosi al rock and roll. Ad Amburgo ebbe luogo uno degli episodi più incredibili della sua vita: si esibì in un club assieme ai Quarrymen, che altri non erano che i Beatles ai loro esordi ed ebbe poi una buona amicizia coi Fab Four.

Nel 1966 partecipò al Festival di Castrocaro, per poi debuttare nel 1967 a Sanremo con una canzone scritta da Mogol e Lucio Battisti «Non prego per me» (“...quanti uomini han vissuto prima ch'io nascessi e perché hanno vissuto quante cose che han lasciato e quante altre no oh oh oh oh oh oh oh… E' venuto il mio momento di partire per la vita fate quello che è importante perché io creda in qualche cosa perché io creda in...). Nel festival in cui si tolse la vita Luigi Tenco, l'esordio del calabrese fu un fiasco.

Ci riprovò nel 1969 con ''Meglio una sera piangere da solo'' (“...Oggi hai spento il sole nella mia vita sento che questo cuore muore a poco a poco, come una foglia son caduto niente mi restera` di me. meglio una sera piangere da solo meglio una volta tanto non pensarti voglio dimenticar le tue parole meglio una sera piangere da solo. cerco la tristezza di strade vuote dove la gente ...”).

In coppia con Claudio Villa, sperava di bissare il successo e la popolarità conquistata in Germania, impreziosita dalla simpatia e dagli apprezzamenti di Frank Sinatra. Ma ancora una volta non si qualificò, scartato dalla giuria, messo fuori assieme al 'reuccio' dalla serata finale.

Nel mentre il miglior Reitano, colui che sapeva toccare le corde della commozione nazionale, s'imporrà a partire dal 1968, con due canzoni che diventano dei classici, «Avevo un cuore (che ti amava tanto)» e «Una chitarra cento illusioni», l'artista aspetterà il 1974 per tornare in riviera e ottenere il miglior risultato al concorso arrivando al terzo posto con ''Innamorati''.

Dopo un lunghissimo allontanamento dalla manifestazione durato ben quattordici anni torna a partecipare nel 1988 con quello che forse è stato il suo più grande successo e cioè ''Italia'' raggiungendo il quinto posto.

Nel 1990 presenta ''Vorrei'' che si qualifica tra le top finaliste. Due anni dopo con ''Ma ti sei chiesto mai'' viene ancora escluso. Nel 2002 con ''La mia canzone'' invece arriva diciottesimo.

Per una prima, molto deficitaria e parziale, sintesi di una vita d'artista. Grazie al successo Mino Reitano acquistò un terreno ad Agrate Brianza dove costruì una sorta di ranch in cui portò fratelli, cognati e nipoti, allestendo anche una sala di registrazione. Nel 1971 vinse «Un disco per l'Estate» con «Era il tempo delle more». Scrisse brani per grandi interpreti della musica italiana come Mina o Ornella Vanoni. Per otto anni è a Canzonissima, guadagnandosi sempre la finale e classificandosi tra i primi. Le giovani generazioni e i critici, mentre avanza la canzone d'autore e il rock, lo considerano una sorta di reperto archeologico. In parecchi hanno ironizzano sulla laurea honoris causa assegnatagli dalla Loyola University. Ma lui era un buono, uno che porgeva sempre l'altra guancia: «Non ce l'ho con chi mi critica. Grazie a molti detrattori credo di essere migliorato. E quando appaio in tv l'ascolto non scende, anzi... ».

La sua enfasi, ma anche la sua bontà, in quegli ultimi trenta anni del 1900 sembrarono in netto contrasto con un mondo della canzone sempre più aggressivo.

Nel 2007 fu colpito da una grave malattia, ma fino all'ultimo volle apparire in tv. Per noi Mino resta quello di sempre. Uno di noi che ancora oggi canta solitario con voce struggente l'animo vero dei calabresi.

Obiettivamente un pò dimenticato, cattolicissimo cantautore in foto con Papa Giovanni Paolo II, le nuove generazioni in gara in edizione del 2018, a dieci anni dalla sua scomparsa, era il 28 gennaio del 2008, a ben 50 e più dal suo debutto sul palcoscenico dell'Ariston, poco ricordano. Può darsi anche perchè Mino a dispetto degli anni che passano, nella memoria sempre lucida come un quarantacinque giri appena stampato su rotante pellicola, tra chi sa di canzonette, sembra che stia ancora lì nel retroscena della importante kermesse canora.

Abbiate la pazienza di leggere queste mie cose scritte alla rinfusa mettendoci di vostro un pizzico di ‘cum grano salis…’

Molti spunti, frammenti di ricordi, appuntati su una vecchia moleskine, dopo aver fatto una bella chiacchierata notturna al Bar Jamaica a Milano proprio con Mino, sempre affabile, sorridente, ottimista. Mi diede il numero del suo telefonino, e appuntamento a Santa Severina, per una sua serata estiva.

Ne avrei parlato con un'amica che passa molti dei suoi week end in compagnia di una mitica firma del giornalismo musicale italiano, ormai in pensione.

E tra i ricordi del juke box a tre dischi 45 giri 100 lire, dal pretesto eccomi qui a mettere a fuoco il soggetto vero della storia che domanda: ma è davvero svanito il sogno di una Calabria, diversa da quella che conosciamo ancora oggi?