Bertè Minù detta Mia Martini “fimmina” e antidiva. Una stella nel firmamento della canzone italiana

10 febbraio 2018, 13:21 100inWeb | di Vito Barresi

Visse e cantò in un'epoca di nuovo divismo in cui di Mimì c'erano solo quelli metallurgici, feriti nell'onore. E lei, infatti, bella, fragile, quasi di sensualità latina, aveva tutti dalla sua parte i tratti, le trame, le contraddizioni e le sofferenze, persino il sorriso solare, di una di quelle storie di donna che si potrebbero ancora raccontare a capriccio e forti colori di tavolozza in un film audace e vibrante alla Lina Wertmuller. Moderna, personale, incisiva, diretta, eppure una mistica della musica, una esistenzialista dell'umiltà, sfortunata persino quando per una 'canna' trovata in borsetta, mentre si esibiva in un locale della Sardegna, fu arrestata e detenuta in carcere per alcuni mesi.


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Complicato appianare in un sunto le montagne e le colline che si intravedono sullo sfondo di un ritratto non concluso e incompiuto di una donna italiana, enigmatica Gioconda, icona della canzone al femminile, interprete e cantautrice, forse poetessa, partita dal sud, e subito alle prese con il grande rivolgimento dei costumi e delle idee che scompigliò il quadro morale e tradizionale dell'Italia del dopoguerra, gli indimenticabili anni sessanta, andando oltre la ferrovia del pane amore e fantasia, a cadere nel pozzo spietato del divismo discografico, che ha mietuto crudelmente più di una vittima illustre sulla dannatissima via del successo musicale.

Per certi aspetti abbastanza simile, introversione comunque negata e mai sbandierata, come cifra della sua sensibilità, a Luigi Tenco, questa Billie Holiday incompresa della canzone italiana lascia un segno immenso ancora non del tutto assimilato e districato. Odio il conformismo e tutto quello che può essere ipocrisia ripeteva nelle innumerevoli interviste.

Mia è stata una donna che ha cantato con intensità la volontà di andare oltre se stessa e i pregiudizi che la condizionavano. Mai fu facile per lei una conquista, un successo, sempre ombrato dalle esclusioni, dai facili automatismi degli schemi maschilisti, approdare e far apprezzare tra molte esitazioni, fughe, paure e rinunce, la sua originale e nuova interpretazione di voce femminile, cantante che canta non perchè ci ragionava sopra, ma che naturalmente metteva in vista se stessa nello specchio profondo della sua vita interiore.

Calabrese di Bagnara Calabra, borgo di città dove le donne lavorano moltissimo, portano delle cose in testa, tra rughe di campagne e incerti aggregati di quartieri rurali. Una volta la ragazza che amava cantare a 13 anni ne vide persino una portare sul suo capo dei binari.

Bagnara, è luogo fatato e appartato, messo di fianco alla Morgana tra lo Stretto e la statale 18, borbonica e garibaldina, un angolo tirrenico, misterioso, in cui si svolgono i secoli di una intricata società mescolata di atavismi maschilisti e arcaiche vestigie di matriarcato locale.

All'anagrafe del paese la vera Mia si chiama ancora Domenica Rita Adriana Bertè, nata il 20 settembre 1947, la seconda sorella di quattro 'fimmini', 'a figghia du professuri' di latino e greco Giuseppe Radames Bertè e della maestra elementare e grande appassionata di fisarmonica Maria Salvina Dato.

Ma sarebbe forzato affermare di lei che fosse femminista convinta e fondamentalista. Certo, di più che la calabresità, è la sua identità di genere, che si presenta in quanto pista emergente e più accreditata per ricostruirne un profilo di dignità e di genialità femminile. essere donna del meridione italiano che risentiva gli influssi di quel magmatico e potentissimo movimento con cui tutte le donne minacciavano di 'sbrigliarsi', come mi disse ridacchiando un giorno un alto prelato reggino che conosceva bene il genere della sua terra.

Dal paesaggio marino e dall'es infantile gliene venne uno sguardo leggermente ironico, leggermente mesto, leggermente nostalgico, insieme melanconico e dolce. Quando per scena cominciò a truccarsi da icona pop, prevalse un incarnato molto botticelliano, ciglia semicircolari, bocca sensuale, tanto che certe gallerie fotografiche la ritraggono in sfondi decorativi molto art nouveau, una specie di donna post maudit, sempre sospesa tra la melodia chansonnier alla francese e i ritratti viennesi di Klimt, nuda veritas.

Dissero che con i suoi dischi volesse contribuire a smitizzare il ruolo dell'uomo ma lei più semplicemente rintuzzava gli intervistatori colti di non voler dare un'aria così importante alle sue canzoni, che non gli interessava fare della politica, femminismo o altro, nelle sue canzoni voleva cantare e basta.

Le sue storie d'amore, tra tutte una delle prime Amore... amore... un corno!”, scritta da un giovane Claudio Baglioni erano uguali esattamente a quelle di sua madre e di sua nonna, soltanto che allora i giovani usavano un altro linguaggio, cioè si spiegavano in un altro modo molto più semplice di prima.

Mia Martini fu bella fin da bambina, una mandorla succulenta cresciuta su un albero in fiore.

La fototessera del provino Rai è il documento che sintetizza l'impressione immediata, sincera si può anche scrivere autentica di una ragazza mediterranea del sud, la cui armonia apparve nient'affatto scalfita dal giudizio poco più che sufficiente: “6/5/64 Video - Giovanile ma banale. Voce un po' nasale ma incisiva. Stile moderno, tipo urlatori alla Celentano. In quel genere ha una certa aggressività e può essere utilizzata”.

Dubbi, sospetti, velati pregiudizi ed evidenti cautele a concedere troppo frettolosi distintivi alla carriera che il solerte quanto sornione funzionario Rai, compilatore di quella scheda biografica (sarebbe utile conoscerne il nome) che tornarono a galla con forza proscrittiva quando alcuni anni più tardi la commissione che dava il via libera alla trasmissione in televisione e alla radio censurò un brano scritto da Mia, Padre davvero, considerandone il testo alquanto violento, crudo, si parlava di amore, di sesso, della famiglia, di suo padre, delle sue crisi religiose, appuntando l'attenzione su una parola che non andava bene ai censori dell'Ente di Stato, amante, che bisognava sostituire nella frase “sarebbe grande sentire il parere delle tua amante...”, oltre a un'altra limatura, in un passaggio ritenuto bellissimo dall'autrice, “mi ricordo quando con mia madre dormivi nel fieno in aprile e lei di me era piena... lei aspettava me, mi piaceva questa frase, era piena di poesia, molto bella e invece la Rai voleva che io dicessi la luna era piena per cui mi sembrava una cosa che non c'entrava più niente...”

Il suo disco più struggente e amaro è quello che si è rotto per sempre il 12 maggio del 1995. Nella solitudine e nel buio di un'ultima notte che scendeva dietro la collina, nonostante ogni miopia, finiva il canto di una vita spezzata di donna e artista straordinaria.