Sessant’anni di carriera, che solo gli manca il titolo di cavaliere del lavoro della canzonetta italiana, a 73 anni Gianni Morandi continua a incantare con le sue canzoni nel tour che arriva fin in fondo allo stivale al Palacalafiore di Reggio Calabria. Sul palcoscenico ormai da mesi l'artista bolognese porta ai microfoni i brani del suo album più recente, D'Amore e d'Autore, pubblicato lo scorso 17 novembre, long play numero 40 di un interprete forte e delicato, versatile e sentimentalista, quasi etichetta discografica di se stesso, con quella voce può cantare davvero ciò che vuole.
Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social
Visto da vicino si capiscono subito tante cose. Specialmente le virtù di un professionista dell’intrattenimento che non ha mai ceduto alla tentazione di rappresentare una sola stagione della vita italiana, comunque, specie dopo che Lucio Battisti e Lucio Dalla se ne sono andati, testimone speciale di un mondo d’amore, proprio quello con prati verdi dei campus e dei parchi dove c’erano tanti ragazzi che cantavano a memoria i Beatles e i Rolling Stones.
Perché, e qui sta forse il segreto della sua longevità artistica, Morandi non è un prodotto della sociologia del divismo, una delle tante star edulcorate e corrette dalla rampante industria della canzonetta nazionalpopolare, quanto un personaggio vero, un italiano venuto su dalla strada, piccolo garzone di bottega che non teneva vergogna a cantare a squarciagola.
Oggi “il morandino” che ululava (così continua a guardarlo con paternalistica affettuosità, il paroliere e ‘pigmaglione’ Franco Migliacci) è un uomo maturo ma non 'vecchio', un senior big che conta e che canta nell’élite mass mediale del paese.
Nello spartito del proprio vissuto campeggia la chiave musicale del dialogo, diretto e aperto con il suo pubblico, un sorriso sempre vivo, ineffabilmente sospeso negli occhi, tra l’enigma e la melanconia.
Vita e successo, amori travolgenti e tradimenti pettegoli, apoteosi spettacolari e drammatiche sconfitte, palcoscenici televisivi e ciak cinematografici, voglie e sentimenti, del “cantante ragazzino” si compaginano con una velocità incredibile e sconcertante nei tantissimi capitoli dei suoi “occhi di ragazzo”, che ora più frequentemente si riempiono di scintillanti lacrime di commozione.
Assurto durante gli anni Sessanta a voce di chi voleva avere già l’età per farsi mandare dalla mamma, bramato fino allo sfinimento da masse di teen-ager impazzite, il ciclone Morandi divenne il tormentone della vita nazionale, a quel tempo alle prese con le doglie affluenti di un “boom economico” che già partoriva le grida della contestazione sessantottesca.
Esatto contrario dei più austeri e lugubri leader carismatici che scorazzavano nelle università, Morandi ha incarnato la sanguigna schiettezza del figlio del popolo che, quando non entrava in polizia, sognava divenire ugola degli integrati, menestrello del riscatto sociale.
Con perfetto tocco glamour lo scrittore Alberto Arbasino, situandolo geograficamente, lo certificava per “un torrente di voce emiliana che accarezza l’Italia intera e la fa rabbrividire nelle sere d’estate”. Causticamente, Oreste del Buono lo apprezzava socialmente per essere “un ragioniere mancato capace d’accendere milioni di persone alzando semplicemente la voce”. Quasi cortigiana la lusinga di Adriano Celentano: “tu hai la forza di mettere d’accordo tutti quanti. Mentre io, c’è sempre un trenta per cento che si incazza”.
L’astro Morandi sottoposto alle prove di mercato, apparve subito un'autentica gallina dalle uova d’oro. In dieci anni piazzò 36 brani nella classifica dei dischi più venduti, 11 dei quali raggiunsero il primo posto della ‘Hit-Parade’, superando Mina e Lucio Battisti. La vetta fu conservata per 58 settimane. La permanenza complessiva in classifica fu di 383 settimane, più di sette anni consecutivi. La sua discografia (45 e 33 giri, mix, cd, antologie, provini incisi, interpretazioni dal vivo) è enorme.
Un’occhiata alla ‘compilation’ dei principali titoli si tramuta in un magico ‘music box’ di ricordi ed emozioni, una parata evocativa dal sound inconfondibile: Andavo a cento all’ora, Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte, In ginocchio da te, Se non avessi più te, I ragazzi dello shake, La fisarmonica, Notte di Ferragosto, C’era un ragazzo, Al bar si muore, Se perdo anche te, Un mondo d’amore, Tenerezza, Scende la Pioggia, Belinda, Occhi di ragazza, Parla più piano, Sei forte papà, Canzoni stonate, La mia nemica amatissima, Si può dare di più, Bella Signora, Banane e lampone...
Continuatore della scuola bolognese del bel canto, Morandi ha arricchito con l’originalità del proprio timbro provinciale la corrente musicale emiliana e romagnola.
Un parco musicale tra i più importanti d’Italia insieme a quello napoletano, milanese e genovese, in cui si annovera un ventaglio immenso di musicisti, cantautori, impresari, orchestre, ugole, gruppi beat, rock band e avanguardie pop, la cui fortuna artistica si è proiettata oltre i confini europei.
Per ripensare criticamente l’intera traiettoria di Morandi, occorre sempre partire dall’angolo inverso del divismo e della celebrità, scansare ogni pista agiografica.
E per questa via scandagliare la carriera partendo dal più articolato contesto di una città, la Bologna dei portici e delle piazzette, luogo di trame vitali, rapporti e incontri, in cui si è giocato, durante lo scorso secolo, il contrasto, cromatico e sensuale, tra la vita comunitaria del mondo contadino e la dimensione urbana di nuova identità personale.
Solo così si vedrà il ritratto sincero che ha il valore aggiunto di non glissare sul “lato side” della vita del cantante. Come quando il successo gli divenne opaco e similmente a tanti altri cadde nel cono d’ombra dell’indifferenza e dell’oblio.