Alfonso Noce il questore crotonese che sfiorò la prigione di Moro pedinando un misterioso “Cardinale”

Chi sia stato Alfonso Noce lo dicono copiosamente le ampie cronache degli anni Settanta. Di lui si ricorda la data 'topic' della sua carriera di servitore dello Stato, il 14 dicembre 1976, quando scampò la morte in un conflitto a fuoco con un gruppo dei Nuclei armati proletari. Un'attentato cruento che lo lasciò ferito mentre veniva ucciso l'agente Prisco Palumbo, raggiunto da un colpo alla tempia al volante dell'auto. In quel frangente morì anche il nappista Martino Zichittella, un tempo schedato criminale comune poi politico passato ai NAP. Dal 1959 al 1973 aveva prestato servizio all'Ufficio politico della Questura di Roma e poi alla direzione dei Nuclei antiterrorismo del Lazio e dell'Abruzzo. Nel marzo del 1977 fu spostato al Ministero dell'Interno, all'Ispettorato generale per l'azione contro il terrorismo, e da lì ha fatto tutta un'importante scalata di posizioni apicali. Dunque, non un poliziotto qualunque il dr. Noce. Anzi, uno che stava davvero in 'prima linea' nella lotta al terrorismo che imperversò in quel decennio in Italia. Come avvenne per lui che si trovò su una delle tante 'postazioni' aperte durante l'affare Moro. Uno di quei luoghi dove non c'erano lupi impazziti né beccai venuti dal freddo ma ben precise figure di un potere “dalle mostruose fattezze destinate a diventare familiare.”


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social

Caso Moro emblematica storia italiana. Ancora quaranta anni dopo vicenda più enigmatica e inquietante del dopoguerra. Una tragedia teatrale, ricca di pathos, suspense e colpi di scena, con tanti attori, alcuni protagonisti di primo piano, altri fugaci comparse di sfondo, che si misero, a loro modo, in vista in quei lunghi 55 giorni di rapimento, prigionia e condanna a morte dello statista democristiano.

E tra questa folla che riempie ancora i titoli di coda, anche il poliziotto calabrese Noce che, a giudizio non suo ma di attenti analisti dell'inchiesta, sfiorò inavvertitamente la prigionia di Moro, nel mentre era sulle tracce di altri terroristi, segnalati da un suo importante confidente, classificato e coperto con il soprannome di 'Cardinale'.

Sul “Cardinale” ancora fitto mistero. Chi era, se addirittura sia ancora vivo e dove eventualmente si trova, 'il Cardinale' è uno dei tanti segreti rimasti irrisolti che apre uno squarcio obliquo sulle fonti confidenziali che fornivano notizie sull'eversione armata di sinistra, su quali funzionari le gestivano, a quali ambienti appartenevano gli informatori (università, luoghi di lavoro, giornalismo, altre categorie professionali), se si trattava di informatori esterni alle organizzazioni eversive oppure vi erano anche persone che ne facevano parte, infiltrate, se la documentazione riguardante tali soggetti sia stata conservata.

Ma chi era realmente il “Cardinale”? Il “Cardinale” era una fonte gestita solo dall'ufficio centrale, oppure anche da qualche questura? Una fonte, che si fidava esclusivamente di una o due persone al massimo, che si rilevò utile ma non decisiva in quell'indagine.

Ci vedevamo in tre più volte, io, Scarlino e il Cardinale”. Eravamo stati tutti sensibilizzati a cercare di portare il maggior numero possibile di informazioni per arrivare all'individuazione principalmente della prigione dell'onorevole Moro. Purtroppo, non era in condizione di avere notizie sul sequestro Moro. L'informazione che ci portò all'individuazione della tipografia fu una cosa del tutto fortuita. Anche lui non pensava che potesse essere tanto importante, perché l'indicazione originaria che ci diede fu la seguente: «C’è un gruppo di persone che s'incontrano in una piazza» – non ricordo adesso quale fosse la piazza – «sulla Tiburtina e che operano in un modo strano. Non vi so dire nulla di preciso. C’è uno che mi sembra sia quello che coordina l'attività di tutti, ma non ne so né il nome di battesimo né il cognome. Solo una circostanza vi posso indicare, ossia che questo tutte le settimane deve andare a firmare al commissariato Sant'Ippolito». Questa informazione per noi fu molto importante, attraverso i Servizi.”

Perchè poi lo chiamassero “Cardinale” il motivo, almeno questo, c'era. Se a dire del maresciallo Leonardo Scarlino, il 'paranome' era poi dovuto al colore delle banconote da 50.000 lire. Sebbene altri, tipo il dottor Schiavone, ravvisava pure che vi erano nello stesso periodo due fonti con nomignoli ecclesiastici, il «vescovo» e il «cardinale». Precisando però, che «la differenza tra i due nomignoli forse stava a indicare una prevalenza qualitativa, dal punto di vista dei contenuti, del “cardinale” sul “vescovo”».

Una notte di quel marzo il “Cardinale” fu fermato a un posto di blocco e gli trovarono addosso una pistola e alcuni milioni di lire. Gli chiesero: “Che fai? Questi soldi da dove provengono?”. Lui si giustificò dicendo: “Me li ha dati il dottor Noce”.

Il dirigente della squadra mobile di Roma all'epoca era il dottor Masone, telefonò e gli chiese notizie. Noce disse che era vero, perché era un suo confidente, e che la pistola gli era stata data con matricola abrasa per consegnarla al gestore del deposito di armi di via Prenestina.

Realmente il “Cardinale” si faceva riconoscere così solo perché era un amante delle monete e dei soldi. Tutto qui, una questione di piccioli, e di tanti piccioli, come confermerà in audizione parlamentare lo stesso Noce.

Ma chi pagava “Cardinale”? A pagarlo fu lo stesso Noce che testimoniò di prendere i soldi dal suo collega questore Santillo. Cifre di rispetto non bruscolini. Se si pensa che Noce risponderà alla domanda “si ricorda le cifre per queste operazioni?”, con un perentorio “complessivamente ha avuto 50-60 milioni.”

Di questo e altro Noce riferì alla Commissione Parlamentare dichiarando che gli era capitato “di dover svolgere indagini sulla base di informazioni ricevute da questo informatore, il «cardinale, che poi sono risultate anche relative al sequestro e all'uccisione dell'onorevole Moro. Si tratta di informazioni che, attraverso indagini, pedinamenti e intercettazioni telefoniche, portarono all'individuazione della tipografia di via Foà dove risultò che erano stati stampati volantini che riguardavano il sequestro Moro.”