Utopia Senza Felicità sul Volto Triste dell’Italia | Patrizia Muzzi

Ci fu un tempo in cui il sindaco di Bologna, terminata la riunione in consiglio comunale, scendeva in piazza e proseguiva il dialogo con i propri cittadini. Dialogare, ascoltare, animarsi, difendere le proprie idee era alla base di tutto. E forse non a caso, questo legame diretto tra istituzioni e persone era da esempio e produceva cose buone.


Patrizia Muzzi | Cambio Quotidiano Social

Ho letto tante assurdità dopo il voto. L’élite condanna la massa per avere votato contro Renzi: “Inaccettabile”.

Forse si poteva sbagliare la percentuale ma era chiaro che stava giungendo dal basso (?) un grido furioso di riscossa che sembrava provenire da William Wallace.

Fare politica è amare. Amare il prossimo. Avere delle idee e portarle avanti con la passione e la competenza che servono per guidare gli altri verso un miglioramento, un benessere desiderato. Fare politica è salvaguardare l’idea che tutti i cittadini siano uguali, che abbiano le stesse possibilità di emancipazione. Fare politica è amare, non solo essere attratti sessualmente.

Se il rapporto tra elettore e politico è effimero, se non si basa su progetti concreti e a lunga scadenza, su idee solide di condivisione e sulla sincerità reciproca a fatica si riuscirà a mantenere un rapporto di fedeltà.

Renzi tornerà, non sembra uno che molla. È il fidanzato che ci è piaciuto, che ci ha traditi e che forse un giorno saremo disposti a riprenderci per fare un ennesimo tentativo.

È passata l’idea che chi ha votato M5S sia ignorante e povero.

A parte questo snobismo che serpeggia tra i tweet, i post sul web e le dichiarazioni pubbliche di chi dovrebbe mantenere toni diversi, dalle ultime analisi fornite dal sociologo De Masi sembra invece che la massa votante del M5S sia sovrapponibile a quella che un tempo era la base del PCI, il PCI di Berlinguer, quello che tutti rimpiangono: studenti, operai, casalinghe, laureati… se fossi un rappresentante politico del centrosinistra mi porrei una serie di domande.

I piddini sembrano drammaticamente trasformati nelle comparse di “E venne il giorno” di Shyamalan che vittime di alcune tossine portate dal vento entrano in uno stato confusionale e iniziano a suicidarsi.

Esiste il forte rischio che anche quello tra M5S e i propri elettori sia un rapporto basato solo sull’attrazione e non sull’amore. Ipotizzando che riescano ad andare al governo sarà impossibile che in pochi mesi rivoluzionino questo Paese: solo allora, davanti alle prime sconfitte, potremo misurare il tasso di affezione tra loro e la propria base elettorale.

Staremo a vedere.

Di certo l’Italia viaggia separata, sempre più divisa, con il Sud che arranca e chiede aiuto e il Nord che fa l’occhiolino all’Europa produttiva, almeno così dicono i dati, le statistiche, i grafici.

Tempo fa, ho letto un librettino dal titolo: “Hygge. La via danese alla felicità.” scritto da Meik Wiking, direttore dell'Happiness Research Institute di Copenaghen. Già l’idea che i danesi possano investire denaro pubblico su un argomento del genere la dice lunga, ma la cosa che mi ha colpita di più è che quel mondo mi sembrasse così lontano e utopico. Non parlo delle candeline che suggeriscono di mettere in sala per scaldare l’atmosfera o delle lampade PH5 tanto amate dai danesi, ma di qualcosa che ha a che fare con l’amministrazione della cosa pubblica.

Le parole sono importanti diceva Tullio De Mauro, le parole sono importanti dice Meik Wiking e i danesi hanno una parola per indicare uno stato di profondo benessere interiore.

Il termine hygge per noi è un termine in concreto intraducibile. Come per un danese è intraducibile il termine italiano gattara.

In Danimarca, dice Wiking, “La sanità pubblica accessibile a tutti, l’istruzione universitaria gratuita e i sussidi di disoccupazione relativamente generosi danno un grosso contributo al calo dell’infelicità. Questo è particolarmente importante per le fasce sociali meno agiate, che in Danimarca sono più felici rispetto ad altri Paesi ricchi.”.

Un danese non lavora più di cinque giorni su sette e mai più di otto ore al giorno perché deve coltivare la propria sfera privata, le amicizie , la famiglia, gli interessi.

Un Paese dove i più poveri non soffrono così tanto è anche più fiducioso. Wiking fa notare(e tutti quelli che sono stati in Danimarca possono confermarlo) che le persone hanno così tanta fiducia nel prossimo da lasciare i passeggini fuori dai locali; i danesi segnalano un forte senso di controllo sulla propria vita e quindi di libertà individuale. L’elenco di cose positive che questo ricercatore riscontra nel proprio Paese sarebbe troppo lungo, il punto è che lo Stato analizza attentamente, e soprattutto incoraggia, il benessere interiore dei propri cittadini perché va di pari passo con tutto il resto.

Potremmo, noi italiani, affermare di provare le stesse cose, di percepire questa hygge interiore, la certezza che se anche tutto andrà male lo Stato ci sosterrà?

Oppure, sempre per citare un altro film, siamo come Bombetta, uno dei protagonisti di “Storie pazzesche “ di Almodovar, che giunge a un livello così elevato di esasperazione a causa della burocrazia da compiere un atto criminale finendo in galera e divenendo, suo malgrado, l’eroe nazionale?

L’idea di fornire un paracadute sociale a chi si sente perduto, senza prospettive, incapace di trovare temporaneamente un posto nella società non è forse una delle grandi sfide del M5S?

La strada che ha scelto di percorrere l’Italia fino ad oggi è quella che viene descritta da Elisabetta Grande nel suo “Guai ai poveri : la faccia triste dell'America” (Edizioni Gruppo Abele) e va in tutt’altra direzione rispetto a quella della ricerca della hygge: sempre meno sussidi e aiuti statali, sanità accessibile ai ricchi, incremento del numero di poveri (relativi) e così via… se leggete i numeri riportati in questo libretto sono impressionanti.

Quale dei due modelli vorremmo che si radicasse in Italia è una delle grandi questioni su cui dovremmo tutti interrogarci.