Il Re dell’Uvetta. Vita e follie del consulente di Darwin | Patrizia Muzzi

Darwin non era molto sexy. Pieno di ansie, di timori. Soffriva di mal di mare, di mal di stomaco, di calvizie… una vera tragedia. Nonostante questa sua immagine poco attraente, molti anni fa decisi di studiare scienze biologiche, anche se ad attrarmi più che la biologia dell’evoluzione e la zoologia sistematica furono la genetica e le neuroscienze, materie più inesplorate e anarchiche. Sjöberg e io abbiamo compiuto gli stessi studi e siamo entrambi usciti da quel mondo pur rimanendone attratti e credevo che questo ci rendesse un po’ simili. In realtà, siamo due persone completamente diverse: lui è stato spinto verso le scienze dall’impulso innato di dover elencare, catalogare, o meglio, classificare. Io, al contrario, detesto organizzare le cose o gli animali in classi, gruppi, odio la nomenclatura, i lavori ripetitivi e mnemonici mi annoiano a morte.


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Sjöberg è un bottonologo, uno che fa collezione di cose futili, in questo caso mosche. Parla con autoironia in tutti i suoi libri di questa passione che lo rende così speciale, e a noi lettori incuriosisce proprio per questo. “Avevo compiuto dodici anni quell’estate, nell’agosto del 1970, mi avvicinavo pericolosamente a quel limite oltre il quale l’incanto svanisce.”


E’ l’estate in cui Sjöberg diventa Sjöberg ovvero, il germe del cercatore di mosche. Ognuno di noi forse si ricorda di quel periodo della propria vita, Sjöberg parte da qui: dalle sue prime goffe ricerche, dai suoi infantili entusiasmi. E ci conduce, saltando da un argomento all’altro, verso la sua vera ossessione chiamata Gustaf Eisen, suo connazionale vissuto a cavallo tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento.


Un uomo che potrebbe essere considerato una via di mezzo tra Indiana Jones e Steve Jobs. Non si tratta di una biografia e nemmeno di un semplice romanzo, leggere “Il re dell’uvetta” (Iperborea, 2016), come anche “L’arte di collezionare mosche” (Iperborea, 2015; altra bellissima opera di Sjöberg) è come trovarsi nel buio della notte davanti a un laghetto assieme all’autore senza sapere il perché, e ascoltare una serie di aneddoti, di confessioni, di coincidenze così strampalate da non poterci credere.


Non sapevo che il ‘povero’ Darwin, sempre più immusonito per colpa dei colleghi gelosi che mal sopportavano le sue teorie evoluzionistiche, si fosse ritirato a vita privata per scrivere, a detta di Sjöberg, uno dei suoi capolavori, “La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrici con osservazioni intorno ai loro costumi”.

Darwin testò l’udito dei vermetti utilizzando astuti stratagemmi come: urlargli addosso, usare un fischietto, appoggiarli su un pianoforte suonato al massimo volume.


Ve lo immaginate Darwin che urla in faccia a un lombrico? Gustaf Eisen fu suo consulente. Tra le varie argute follie compiute in vita, questo Eisen fondò il Sequoia National Park, creò la più grande collezione esistente al mondo di tessuti maya, recuperò il Sacro Graal ora conservato al Met di New York, si fidanzò con Madame Blavatsky dedicandosi all’occultismo e terminò la sua vita in modo davvero divertente, anche se lui non accettò mai la vecchiaia, un vero impiccio per una mente vulcanica sempre pronta a esplorare campi diversi.


Per questo amo Fredrik Sjöberg, perché ha la capacità di soffermarsi su particolari futili che svelano l’essenza di una personalità e narrano con efficacia una vita intera.


Il re dell’uvetta è un omaggio alla vita di Gustaf Eisen, ma è soprattutto un libro curioso e divertente che mi ha fatto un po’ invidiare l’epoca in cui vissero questi istrionici ed eclettici personaggi ognuno in cerca del proprio Sacro Graal, a cui tutto era permesso.