Il Primo maggio dei disoccupati calabresi strozzati sotto la cappa dei “sistemisti”

1 maggio 2018, 13:15 Il Fatto

Che il Primo maggio sia la festa dedicata alle lavoratrici e ai lavoratori è un dato di fatto storico ma anacronistico. Soprattutto in una regione come la Calabria che secondo i dati dell’Eurostat, l'ufficio statistico dell'Unione europea, segna un tasso di disoccupazione giovanile (comprendente cioè una fascia d’età tra i 15 ed i 24 anni) che tocca il 55,6%.


di Vincenzo Ruggiero

In poche parole, più della metà dei ragazzi della nostra regione non solo non ha un lavoro, quanto non ha nemmeno un minimo barlume di speranza di poterne trovare uno a breve.

Agli antipodi la Provincia autonoma di Bolzano con un tasso del 10,2%: in aumento di quasi due punti rispetto al 2016 ma pur sempre basso, marcando apertamente quel divario occupazionale - oltre che di fiducia - che c’è sempre stato e continua ad esserci prorompentemente tra un Nord - in particolare il Nord Est del Paese - e un Sud - Calabria in primis - sempre più periferia d’Italia, d’Europa e del mondo industrializzato.


L'esser peggio del Marocco


Peggio della nostra regione, lo sottolinea sempre l’Eurostat, l'exclave spagnola in Marocco Melilla (al 62,7%), le isole greche del Voreio Aigaio (al 58,2%), la regione dell'Epiro (58%); poi il territorio francese d'oltremare, quello di Mayotte (57,7%).

Per non parlare della regione ellenica del Dytiki Makedoni (55%), della spagnola Ciudad Autonoma de Ceuta (54,4%), del Guadalope (53,3%).

Dati allarmanti che spengono illusioni e aspettative di un territorio, il nostro, additato (sebbene non sempre ingiustamente) di indolenza, attendismo, attitudine all’assistenzialismo, genuflessione cronica alla logica della nullafacenza.

Una profilazione antropologica riassumibile in quello splendido ed impietoso sketch del duo comico Ficarra e Picone, perennemente affaticati anche al solo accomodarsi su una seggiola.

Ma se fosse vero quest’assunto (o pregiudizio) non vi sarebbero, in questa terra, così tante piccole esperienze imprenditoriali e commerciali; bottegai, artigiani, giovani e meno giovani, che giorno dopo giorno combattono silenziosamente una battaglia di sopravvivenza e di “conservazione”, chinati loro malgrado in una trincea scavata a mani nude.


Un futuro sotto il “cappello”


L’economia sarebbe completamente ferma ma così non è. Ed hai voglia a borbottare ripetutamente sulla pervasiva presenza del lavoro nero e truffaldino. I casi, tanti, esistono ma non rappresentano la totalità.

Ciò che invece frena uno sviluppo razionale e sistemico dell’economia locale, oltre al cappio sempre più stretto della criminalità organizzata (dai diversi nomi ma non solo quello di ‘ndrangheta) è una sorta di cappa che pare avvolgere sempre più fitta borghi, città e province calabresi.

Un cappello di interessi non sempre occulti che determinano decisioni, azioni e vie preferenziali. Un insieme di energie unidirezionali strette in un patto commissivo siglato a forza di strette di mano e sguardi ammiccanti tra classe politica, classe dirigente pubblica, classe dirigente privata in ruolo di surrogato pubblico, classe dirigente sindacale, professionisti, notabili, magistrati. E poi pure i mafiosi.

Uno stato di subalternità, di alienazione, sotto il giogo di logiche machiavelliche che permettono l’emersione - sebbene sempre contingentata - solo agli affiliati a un clan (qualsiasi esso sia).

Per il resto le cronache raccontano di sfruttamentoa go go”: di risorse esclusivamente pubbliche, di energie sottopagate e umiliate, sospese nel limbo e con davanti una porta girevole che, in un attimo, può sbatter fuori alle intemperie; senza tutele, senza la certezza di una giustizia giusta ed equa.

Una terra la Calabria dove l’economia che conta è in mano soprattutto a prenditori più che imprenditori per cui controllati e ammanigliati con la peggior politica affaristica ed egocentrica mai vista dal dopoguerra ad oggi.

Tutti incapaci di credere ed investire in idee, progetti e rinnovamento delle risorse umane, talmente arroccati nella tutela delle personali rendite di posizione e di potere. Grandi o piccole che siano.

Uno stato dell’arte che difficilmente porterà la Calabria nel nuovo millennio, nei mercati globali e nell’affermazione delle sue qualità inespresse, la cui unica speranza rimane - come sessant’anni fa - quella della valigia di cartone.