Nell’ambito del complesso commerciale “Akropolis”, in zona Passovecchio a Crotone, due o tre mesi or sono, in un enorme capannone, dei cittadini cinesi hanno ammassato migliaia e migliaia di articoli per la vendita a tutti noi cittadini del crotonese. Sono stati i primi, con furbizia, a dare al negozio una denominazione italiana.
I titolari di un altro negozio, sempre cinese, quello ubicato sopra la piuttosto recente attività de “Il Mercatino dell’Usato”, hanno provveduto, da pochi giorni, a rompere il muro finale del loro negozio per poter allargare maggiormente l’attività.
Ma - ci domandiamo - si saranno premurati di chiedere una regolare autorizzazione al nostro Comune, dato che un po’ ovunque in Italia, è capitato spesso che amplino i negozi senza chiedere alcun permesso?
Sarà una superficie identica, se non maggiore, a quella già esistente, la nuova che stanno allestendo. Altri due enormi capannoni, sempre gestiti da cittadini cinesi, si trovano, in località “I fiori”. A parte tutti gli altri già esistenti nel centro di Crotone.
Ebbene, detti negozi - che vendono di tutto, dall’abbigliamento femminile e maschile a quello intimo e della prima infanzia; dalla merceria alla cosmetica; dalle scarpe e borse ai giocattoli; dai vari articoli per la casa alla cancelleria e via dicendo - hanno pregiudicato fortemente le vendite nelle attività gestita dai crotonesi, tanto da costringere numerosi negozianti locali ad abbassare le saracinesche.
Basta fare un giro su Corso Vittorio Veneto e lungo le strade vicine per poter notare, quasi sempre, la non presenza di compratori nei vari negozi gestiti da persone del luogo mentre in quelli cinesi, in qualsiasi ora del giorno, è possibile imbattersi in gente che, invece, compra.
Ed in questi ultimi giorni, i simpatici cinesi si stanno cimentando in altri settori: uno, in periferia, si è messo a far concorrenza ai fiorai, vendendo delle piante; in un negozio del centro città, poi, un altro ha iniziato a commercializzare cinturini per orologi. Quindi, altre due categorie che verranno penalizzate.
Nulla da obiettare, perché si tratta di libera e legittima concorrenza; però desidereremmo che alla stessa stregua dei negozianti italiani, anche quelli gestiti da stranieri pagassero le tasse e versassero tutta l’Iva incassata.
Quanto da noi rilevato è stato appreso dalla lettura di numerosi articoli apparsi su giornali nazionali (LEGGI).
Rodolfo Bava