In Bruges, il film, ecco cosa ci ha spinti a visitare il Belgio. Colin Farrell non fa altro che ripetere quanto Bruges sia triste e noiosa, mentre le immagini lo contraddicono. E noi cadiamo volentieri nella trappola del regista. Lasciamo l’Italia con un clima da colpo di stato. In aeroporto mi domando spesso perché le donne diano il peggio di sé in fatto di abbigliamento. Tacchi vertiginosi, gonne impossibili, borse scomodissime. L’aereo è già in ritardo di 30 minuti e ringrazio di avere prenotato il bus da Bruxelles per le sette di sera. Immaginavo il clima del Belgio più freddo, invece sembra di stare a casa. Afa inclusa. Attraversando la campagna godo nel vedere mucche, cavalli e pecore a decine, liberi di muoversi come desiderano. E tanti alberi. Alberi che costeggiano la strada. Un muro di verde ai lati dell’autostrada ci accompagna per chilometri.
Patrizia Muzzi | Cambio Quotidiano Social
Arriviamo verso le nove di sera. Il bus ci scarica presso la stazione che sembra di recente fabbricazione. Piove e l’aria sa di mare. Il sole tramonterà verso le dieci di sera e noi abbiamo un pezzo di strada da fare a piedi verso l’hotel. Non sfruttiamo il percorso più breve lungo il viale, ma una via parallela inclusa nel centro storico della città. Il mio compagno ed io siamo silenziosi.
Per strada non c’è nessuno. Il cielo è grigio. Le abitazioni paiono vuote ma sentiamo un deciso odore di patate fritte. L’unico suono è quello del canto di qualche uccellino. Siamo sprofondati in pieno medioevo. Ci confrontiamo e abbiamo la stessa percezione. Siamo due pellegrini del ‘500 in cerca di una taverna dove mangiare un pezzo di formaggio e ripararsi dalla pioggia.
Il nostro albergo è davanti a un canale, dove una famiglia di papere è intenta a procacciarsi il cibo. L’albergatore ha la stessa faccia di un mio amico genovese e ci mette in guardia: qui si cena alle sei, alle sette o al massimo alle otto. Ora troverete aperti solo i McDonald’s. Confermo. Terminato il pasto ricco di acidi grassi saturi, inizia la prima visita della cittadina.
Sembra di essere dentro a una favola. Bruges è semplicemente bellissima. Più ci addentriamo e più scopriamo angoli da fotografare. Temo quasi che i briganti o i pirati spuntino all’improvviso da una taverna per rapinarmi. La notte rende Bruges perfetta per gli amanti e per le streghe.
La nostra mattina inizia molto prima della loro. Mi abboffo di crepes e miele. Nel Markt ci attende il mercato del mercoledì: perlopiù fiori, frutta e verdura. Iniziamo il giro dei musei: Bosch, Brueghel il Vecchio, Memling. All’uscita capiamo che sono arrivate le frotte di turisti mordi e fuggi. Non si possono schivare. Te li tieni fino al primo pomeriggio e poi come per incanto svaniscono.
Facciamo una sosta e riesco a pagare 250 ml di acqua 4,20 euro. Per fortuna non è così dappertutto. Ci sediamo fuori dalla cattedrale di san Salvatore. Una coppia formata da due uomini gioca con i propri figli sul prato. Ne ho notate altre. Proseguiamo il nostro giro e ci perdiamo tra vicoli fino a raggiungere Begijnhof, una delle soprese più belle. Non tanto la chiesa in sé ma il complesso di abitazioni e parchi che lo circondano.
È giunta l’ora di scalare il Belfort. Finalmente salirò sui gradini su cui ha messo i piedi Colin… Che vista fantastica! Tento di fare una foto ma una ragazza sta studiando le pose per il selfie, bocca a culo di gallina e se ne va, posso scattare le mia foto al panorama.
Visitiamo Heilig-Bloedbasiliek, dove pare sia deposta una fiala contenente il sangue di Cristo portata dai crociati. Mentre i fedeli sono in coda per pregare davanti al Santo Sangue, io mi siedo e rimango a bocca aperta, così come mi accade passando nel municipio lì accanto, lo Stadhuis.
Entrare nella Gotische Zaal è un’esperienza mistica. I dipinti alle pareti meritano di essere visti. Mi soffermo su due figure relegate in disparte rispetto alla scena principale: la donna che vende limoni e il falconiere seduto accanto a lei. Non sembrano molto preoccupati di tutto il caos che avviene attorno a loro.
Siamo storditi da tanta bellezza e dalla fiacca. Dopo esserci ripresi un po’ in albergo, torniamo a girare. Sono quasi le sei e i negozi stanno chiudendo. Cerchiamo subito un posto per mangiare e ci rimpinziamo di patate fritte, una delle loro specialità.
Siamo nuovamente noi e il silenzio, il verde, i canali, i gargoyle, la pioggia leggera e calda. Facciamo un giro lungo il canale che costeggia la città alla scoperta dei mulini a vento. Al ritorno dalla lunga passeggiata ci sediamo nuovamente nella piazza del Burg.
Scende la sera, la piazza si illumina, i turisti ora sono molti di meno, passano le carrozze coi cavalli e si sente il suono del carillon che si trova nella torre. In quel torpore mentale che ci avvolge facciamo strani pensieri. Nella stessa piazza qualche centinaio di anni prima si uccidevano tra loro i rappresentanti delle gilde. A monito dell’imparzialità imposta ai giudici un quadro di Gerard David ci rammenta il racconto di Erodoto sulla scuoiazione dal vivo di Sisamne.
E come paventa Bosch, l’uomo malvagio sarà sottoposto a giudizio divino e patirà le pene dell’inferno divorato da mostri polimorfi. Chi ha creato la bellezza sprigionata dalle architetture di questi palazzi, è della stessa materia di chi si è armato in nome di un dio o di un re.Sono elettrizzata. Mi succede sempre così. Non riesco a prender sonno.
La mattina seguente piove e decidiamo di trasferirci a Bruxelles, della quale mi han sempre parlato male. Mi piange il cuore a dire addio a Bruges. In treno apprezzo nuovamente la campagna e i suoi animali. I belgi sono prodighi d’informazioni preziose.
Il nostro hotel dà su una piazza vicino alla casa di Brueghel The Elder, che caso… lui e Bosch ritornano da alcuni anni nelle nostre vite come un mantra. Un salto nella Grand Place e capisco che i miei informatori si sbagliavano: anche Bruxelles possiede un centro storico straordinario. I turisti qui si concedono più frivolezze rispetto a Bruges, noto un maggior numero di pazzi in libertà e riappaiono i mendicanti.
Decidiamo di cambiare rotta: si passa al quartiere operaio Le Marolles. Un po’ Montmartre con i suoi vicoli sui colli, su cui svettano chiese, caffè e mercatini. Mi piace subito. Facciamo qualche acquisto tra i banchetti gestiti da africani e asiatici che si occupano di rivendere le chincaglierie di qualche vecchio belga o di parenti congolesi accumulate nel corso della vita. Ci fermiamo a mangiare in un bar all’angolo della piazza.
I belgi sembrano miti e ironici. In una tavolata accanto alla nostra, un gruppo di persone anziane festeggia il compleanno di un simpatico signore con la barba e il cappello di paglia. Sembrano amici da molti anni. Il panino è buonissimo e riprendo le forze. Mi perdo in una cantina adibita a negozio di antiquariato: zanne di elefante intarsiate, pelli di orso bianco appese al muro, teste di ungulati… L’uomo è alla costante ricerca di sangue.
Entro in un altro negozio, che in realtà è un’intera abitazione dove il tempo pare essersi nuovamente fermato. Esco e The Elder mi sta osservando dalla finestra della sua abitazione. La pioggia, il riposo e poi la vita a la Grand Place.
Una ragazza si fa riprendere mentre esibisce la sua coreografia davanti a migliaia di turisti, una pazza che parla da sola raccoglie un rotolo di disegni si siede accanto a me e inizia a strapparne alcuni. Conosciamo tre ragazzi della Colombia. Scopriamo che devono fare un giro in Italia e passare da Bologna, così gli consigliamo il ristorante Bertino (uno dei più tipici) per assaggiare i veri tortellini in brodo e i bolliti.
All’improvviso piove e ci sediamo sotto il porticato del municipio. Almeno una quindicina di lingue diverse in pochi metri quadri. Un cinese stermina un sacchetto di semi di zucca. Riprendiamo il nostro giro in attesa che arrivi la luce perfetta per immortalare la piazza.
La mattina seguente passiamo al Museo di Belle Arti. In un bar apprendo dai quotidiani che in Italia abbiamo un nuovo governo e non riesco a capire come si sia potuta ribaltare così in fretta la situazione: da Cottarelli a Conte-bis.
Vedo finalmente Magritte e La Fata Ignorante. Mi colpisce moltissimo un dipinto: I venditori di gesso - Al mattino: padre, madre e i due figli che fissano i loro osservatori dal giorno in cui li dipinse Leon Frédéric. Lo sguardo di quel padre non lo dimenticherò mai. Un guardarobiere di origini africane ironizza con noi su Berlusconi. Queste cose mi accadevano anche venti anni fa, penso.
Il nostro giro nel Belgio si conclude qui.
Prima di arrivare all’aeroporto incrociamo Marcinelle, il luogo dove nel 1956 persero la vita 262 persone, per la maggior parte italiani.
Anche al rientro l’aereo è in ritardo. Un gruppo di neolaureati belgi viene a Bologna a ‘scassarsi’ il fegato. Sulle T-shirt, i nomi e le indicazioni di quello che hanno intenzione di fare non appena atterrati nella mia città.