I fossili della politica di sinistra hanno perso persino l’ultima goccia della loro memoria storica? Domanda da girare ai paleontologi della politica o ai politologi analisti impegnati a scrutano l’attualità per prevedere il futuro della vita pubblica italiana ed europea come fossero aruspici romani. Affronto un tema più che mai di attualità, la crisi in cui si trova, gettata in un vicolo cieco, la sinistra italiana dopo la catastrofica sconfitta alle elezioni del 4 marzo 2018. Si potrebbe descrivere l’evento con la narrazione in stile storia militare quasi come la Waterloo secolare della sinistra e del Pd in particolare. Fu quella una della più cruente battaglie delle guerre napoleoniche, l’ultimo cimento del condottiero che sancì per lui l’esilio e la fine. Ma attenzione, Napoleone venne sconfitto ma il bonapartismo divenne una realtà politica che trasformò profondamente la struttura civile e istituzionale della Francia che ancora sfrutta la scia di quel periodo 'imperiale' progettato e costruito dal lungimirante grande Corso.
Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social
In premessa (i ‘fossili’ della sinistra direbbero il preambolo) non si può essere sufficientemente convinti che destra e sinistra siano veramente intenzionate a scomparire dalla scena della storia, sol perché Sir Arthur Wellesley, duca di Wellington, insieme al feldmaresciallo Gebhard Leberecht von Blucher, sconfissero l’armata francese, nel caso specifico, Salvini e Di Maio, conquistando il governo ed entrando giubilanti nella stanza dei bottoni di nenniana memoria.
A sinistra, Napoleone e il bonapartismo, risorgeranno quasi certamente.
Per cui, al di là di a chi tocca impersonificare la parte attoriale nel teatrino della politica, sulla lunga durata dei secoli, destra e sinistra, specialmente quando vanno in crisi, si ripresenteranno in quanto faccia della lotta per il potere, proprio fossero i diamanti nascosti nel letame della società in transizione.
Destra e sinistra sono per sempre.
Anche quando qualcuno intenderebbe camuffare, mescolare, nascondere, dichiarandone frettolosamente e propagandisticamente la fine della loro storia plurisecolare, convincendo e auto convincendosi che l’andare oltre la destra e la sinistra non si sa bene dove, sia il prodotto della loro tenacia lotta per la conquista del potere.
Per imporre la sua nuova ideologia, volgarmente detta ‘populista’, questo nuovo regime politico, nato dal contratto tra il pezzo di maggior spicco della nuova destra italiana, la Lega Nord di Matteo Salvini, e il ceto politico trasversale e interclassista che comanda attualmente il M5S, ha messo in atto il primo vero cambiamento ribaltando il ‘mainstreaming’ mediatico di conio Pd, modificando nel profondo il linguaggio e nel superficiale il vocabolario della comunicazione politica ufficiale e governativa.
Una mutazione genetica della parola scritta e parlata che sembra, almeno in tempi di luna di miele tra nuova rappresentanza ed elettoratto, non trova ostacoli neanche in quel che resta di cenere fumante della sinistra e del Pd di Renzi.
Anzi, compagni e amici, continuano il malvezzo di lasciarsi contaminare da pensieri e frasi altrui, sedurre dalla narrazione spiccia e rudimentale di certi capi di partito, in tal guisa che qualcuno osserva acutamente che “la cosa che più sancisce la vittoria dell’imperante retorica nazionalista è l’adozione, da parte di politici ed intellettuali dell’altro fronte, non solo degli stessi argomenti, ma anche dello stesso vocabolario. Quella neolingua scandita da termini privi di senso come “sovranismo”, “migranti economici”, “taxi del mare”, “è finita la pacchia”, “lo faccio pensando ai loro bambini”. (Davide Assael, moked 27 luglio 2018)
Per questa ragione, appare evidente, che l’incredibile spettacolo offerto dalla sinistra italiana dopo le elezioni del 4 marzo, non ha solo la sua ragione profonda nella mediocrità dei suoi leaders o nel conservatorismo dei loro apparti di partito, ma rivela uno sbandamento che riguarda le basi morali ed ideologiche del suo essere politico.
Insomma ne tocca e ne intacca le fondamenta culturali, sociali, antropologiche, l’essenziale valore originario della loro visione del mondo, delle società, della vita pubblica e collettiva, delle istituzioni, della democrazia e del potere.
Se questi uomini della sinistra attuale (c'è sempre e comunque speranza per una sinistra del futuro) sono stati i veri colpevoli della catastrofe elettorale, se continuano a dividersi e contrastarsi l’un con l’altro trovando come unico appiglio quello di demonizzare gli avversari, ciò accade perché hanno gettato alle ortiche l’eredita elettorale del passato, il giacimento di culture, buone prassi e memorie di lotte e battaglie, al solo fine scellerato di curare esclusivamente i propri interessi, scatenandosi in un bieco carrierismo di partito, in filiera disposta dai Comuni alle province, dalle regioni fino al governo, senza più avere né proporre alcuna speranza per altri, annullando la linea che distingue il buonismo dalla generosità politica e sociale, senza mettere in atto un'autentica volontà di trasformare in divenire la realtà italiana.
Se gli elettori non hanno votato questi rappresentanti di un ceto politico sconfitto e fallimentare, incapace e arrogante, molto spesso corrotto non solo materialmente ma anche ideologicamente, lo stesso gruppo dirigente che ha portato la sinistra al fallimento e alla sconfitta, vuol dire che ai loro occhi non sono più credibili nè moralmente nè tanto meno politicamente.
Giorgio Gaber con fine ironia si chiedeva meditando in teatro canzone: “Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra… Io direi che il culatello è di destra, la mortadella è di sinistra. Se la cioccolata svizzera è di destra, la Nutella è ancora di sinistra. Il pensiero liberale è di destra, ora è buono anche per la sinistra...”