E già che ai servi traditori, affaristi, avidi e ingenerosi poco importa il rimbombar di voci nei corridoi e per le stanze dove Rosso correva Euristeo, Nero correva Eracle, tra i vani che un tempo chiarissimi e solari, furon di Costa Tiziana Hotel, se ora son scuri e tetri i ricordi e le nostalgie canaglia, tutte chiuse con triplo lucchetto dalla Legge, sotto il leguleo acciaio di un fallimento, intricato e muto di cui non si sovviene ancora sbocco. Frattanto che, apparentemente immobili, stanno a osservare taciturni il prosieguo di una saga turistica e famigliare tristemente finita all'asta, i locali rapaci e intriganti, assestano furiosi ultimi fendenti e rapidi colpi secchi ai supplementari giudiziari, su cambio destinazione urbanistica tra aree contigue da turistica a socio-sanitaria (‘ti ricordi villaggio verde...’ sembra ridere qualcuno sotto il baffo), previa determina dirigenziale, approvazione unanime del Consiglio Comunale, senza neanche un solo lamento dall’opposizione comunale a Cinque Stelle e qualche striscia 'raccomandata' in Parlamento, altro non resta demolire quel poco rimasto del sogno turistico crotonese. Cancellarne persino la memoria tra il solito coretto di voci altisonanti più d’affari che di politica, che sgusciano notturni sopra il lastricato bombato delle mura, finché il lastricato torna sentiero di terra, attraverso il giardino e il secondo giardino, dove li separa un ultimo muro alto della strada, e ultimo bastione intorno al vasto palazzo a forma teatrale del Complesso turistico alberghiero Costa Tiziana Hotel.
Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social
Costa Tiziana Hotel, rocca del turismo calabrese moderno caduto in rovina, di rimpetto alla Torre Comandante del Castello Aragonese di Carlo V che domina Crotone, spicca solitaria tra l’argilla grigia di incandescenti calanchi aggrediti dalla speculazione edilizia modello villetta a schiera, dai venditori ambulanti, dagli improvvisati imprenditori locali della sedia a sdraio.
E tra una lottizzazione e l’altra, quasi tutte sottoposte a sequestro su disposizione dell’autorità giudiziaria (tipo quella collata nel fascicolo ‘Green Village’ tra Procura e Tribunale che notizia sbancamenti a gradoni e riporto materiale proveniente da scavi nel canalone che divide la lottizzazione dalla Costa Tiziana), tante le ruspe che hanno sconquassano sedimenti e stratificazioni di ere geologiche, scaricando in discarica conchiglie fossili e cavallucci marini preziosissimi che valgono quanto uranio e diamanti da custodire nel caveau di una banca svizzera.
Perché, e pensiamo ne fosse pure edotto da uomo colto e imprenditore illuminato quale fu Aldo Davanzali, l’avvocato, fondatore e proprietario della compagnia aerea Itavia, colui che immaginò e promosse il progetto di Costa Tiziana Hotel, che ne scelse il nome in omaggio a sua figlia, sorgeva nelle terre di Vrica Stuni, un tempo ataviche proprietà tra il feudale e il demaniale dei marchesi Lucifero e dei baroni Berlingieri, i più grandi latifondisti della Calabria fino a Policoro e Metaponto, in un luogo tanto terrestramente materiale da apparire paradossalmente ’immateriale’, per non dire inesistente, di importanza mondiale, dicono i narratori di leggende territoriali.
Una valle di creta straordinaria e bellissima che la pioggia d’inverno dilava in fango, da decenni silenziosamente devastata e svuotata dalle torrette carpiate di una jonica multinazionale petro-metanifera, metano e salsedine, rampe di una navicella che succhia gas dal sottosuolo dell’area marina protetta.
Dai volumi a schiera inseriti in un’ampia macchia mediterranea, un’area verde di oltre 70.000 metri quadrati, lo sguardo si allarga a 360 gradi e per intero abbraccia nella baia, sia lo skyline della città che la Colonna di Hera a Capo Lacinio.
Per grandezza monumentale e linea architettonica, superiore a ogni altro albergo moderno in tutto il Mezzogiorno, Costa Tiziana era l’emblema turistico a marca Cassa del Mezzogiorno, e ora è la Sfinge del fallimento turistico calabrese, il sarcofago a perenne memoria del turismo morto.
Tutt’intorno, nella controra meridiana di un torrido giorno di luglio, non c’è più segno né pulsazione di nessuna attività ricettiva, ludica, balneare. La spiaggia che per tante stagioni è stata sempre piena di ombrelloni rosso blu, come i colori del logo aziendale, è completante vuota, deserta, inanimata.
Neanche lì è permesso mettere i piedi nell’acqua, bruciarsi la pianta per la sabbia che scotta, aspettare dopo il bagno il trenino che riportava i villeggianti nella frescura delle loro stanze d’albergo, tutte balconi e finestre affacciate su un luminoso Mediterraneo.
Vista dall’alto di un vecchio Dc9 Itavia o di un elicottero dei servizi segreti in incognito o di un drone ultima generazione manovrato alla consolle da qualche giovane pilota, l’edificio di pregio è d’evidente scuola d’architettura, un arco perfetto semi circolare, che dopo tre millenni realizza quel che all’antica Kroton, unica metropoli della Magna Grecia, praticamente e non casualmente mancava, la forma archetipa del teatro greco, elemento cardine dell’urbanistica coloniale ellenica, inaspettatamente costruito e installato sul pianoro impercettibile di una dolce collinetta che sovrasta una calda spiaggia dalle dune rosse.
Già questo avrebbe dovuto fare di Costa Tiziana non un fallimento che fa gola a qualche privato ma una immensa promessa, una risorsa, una sfida, un giacimento, un progetto straordinario di scenografia e museografia pitagorica, astronomia, talassocrazia, alimentazione, spiritualità, filosofia, ecc.
Davvero un pezzo unico Unesco, un lembo di patrimonio mondiale, anche se quelli del FAI in Calabria amano più salvare le ville e i manieri diroccati dei soliti notabili discendenti del vecchio feudalesimo eversivo.
Così che all’asta di Costa Tiziana, i cui valori sembrano suggerire non l’azzardo del mercato ma la cautela del bene comune, la stima di perizia per la struttura è stata di 26,5 milioni di euro, mentre la base d’asta partiva da 8.160,184 euro, tale che sarebbero dovuti andare lo Stato Italiano, che invece se ne fotte, il Ministero dell’Archeologia che blocca ogni cantiere ad capocchiam, la Regione Calabria che mena vanto 'fru-fru' della tutela di bellezza paesistica e ambientale e il Comune di Crotone in cui ricade il poderoso sito del modernariato turistico italiano, per acquisirlo in dominio, magari utilizzando le prerogative di legge della pubblica utilità.
Invece niente, nessuno lo deve sapere. Omertà civile, morale, economica, istituzionale secondo la ferrea legge del “cittu tu, cittu iu… /... zitto tu, zitto io”, anche se tutti parlano che c’è un giudice a Catanzaro come per dire alla Bertold Brecht ci sarebbe pure un giudice a Berlino.
Anzi per portarsi avanti e tombare definitivamente nel monumentale sarcofago il fallimento turistico crotonese, a norma del Regolamento sul Funzionamento degli Organi di Governo, su richiesta del Sindaco e previa Conferenza dei Capigruppo, il Consiglio Comunale, in sessione ordinaria - seduta pubblica, lunedì 21 maggio 2018, trattava non a caso il punto 11 dell’ordine del giorno: “Ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d'uso della struttura alberghiera denominata "GREEN VILLAGE" a casa di cura riabilitativa "MADONNA DI CAPOCOLONNA" Centro SLA-RSA medicalizzata, presentato dalla SADEL S.p.A. di Salvatore Baffa, ai sensi dell'art. 14 comma 1 bis del D.P.R. n. 380/2001. Attestazione di interesse pubblico”.
Tomo Tomo cacchio cacchio, tosto approvando senza movimento alcuno, con unanimità a Cinque Stelle. Finale proprio degno di una location di lusso turistico alberghiera.