Eccidio di Civita doloroso emblema del fallimento morale dell’ambientalismo storico calabrese

22 agosto 2018, 22:15 100inWeb | di Vito Barresi

Eccidio d’agosto su sfondo paesistico e naturalista. Civita arbereshe la Guernica senza Picasso del modello Parchi di Calabria? Esclusivamente suggestioni, vecchi titoli rossi dei nostri giornali, testata con la coda avvelenata? Si ma poi anche di fronte allo stress test, al collasso, al risk management, insomma alla morte di ragazze, giovani, escursionisti ignari soltanto felici di vivere insieme una giornata di luce e di bellezza, perché non chiedere un ‘mea culpa’ anche a chi ha fatto in questa terra dell’ambientalismo comunque una professione anche se di pura fede? Forse per questo sarebbe davvero interessante tracciare una precisa mappa dei poteri (e dei sotto poteri) diretti e/o di veto, anche in base alle postazioni assegnate e alle poltrone ottenute in quasi cinquanta anni di vita regionale, dai numerosi esponenti delle cosiddette associazioni ambientaliste che da decenni sono presenti in Calabria. E lo sarebbe ancor di più alla luce di quanto avvenuto a Civita, un luogo divenuto in qualche modo simbolico per certo ambientalismo storico calabrese, e da lì tracciare un bilancio di oltre mezzo secolo di presenza associativa in una regione fortemente segnata dalle problematiche ambientali, naturali tra sfruttamento e sostenibilità, risorse naturali e danni ambientali, protezione e promozione del territorio e delle biodiversità, caccia, pesca, forestazione, energia, giacimenti minerari, piattaforme petro-metanifere, incendi boschivi, sicurezza e bonifica post industriale e quant’altro in tema.


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social

Si può anticipare con notevole margine di certezza documentale che il giudizio sul ceto dirigente storico dell’associazionismo ambientalista calabrese, sul profilo dei suoi leader e sulle conquiste da questi ottenute, è ampiamente deficitario e a tratti, nonostante qualche buon volenteroso, fortemente negativo. Tanto il definitivo suggello è venuto proprio dalla strage degli innocenti in quel di Civita, un luogo che divine così simbolo della disfatta di un certo ambientalismo carrieristico e di ‘regime’ da archiviare e superare in fretta per il bene comune dei calabresi.

Passando rapidamente in rassegna una sequela di eventi alluvionali, sismici, incendiari, inquinanti, se ne ricava un quadro apocalittico dentro cui si colloca il giudizio storico e attuale di quel ceto dirigente delle associazioni ambientaliste criticamente in termini di presenza/assenza, risultati e politiche, finalità e interessi di un ‘piccolo’ ma poi non tanto drappello di uomini che ha avuto la responsabilità diretta di incidere e influire sulle politiche ambientali della Regione Calabria, detto qui anche seccamente, del fallimento di un progetto e di un modello ambientale per la Calabria, in qualche modo ceduto se non immolato al carrierismo di alcuni, al successo di altri, alla visibilità dei pochi che hanno ancora in mano la ‘gestione’ morale dell’ecologismo calabrese.

Chi sono oggi i ‘capi’ dell’ambientalismo calabrese, quanti sono gli iscritti e i dirigenti funzionari delle principali sigle dell’ambientalismo regionale?

Scavando in questo silenzioso segmento, una terra a mezzo di volontariato, sovvenzioni di stato, prebende regionali ecc. pare di trovarsi di fronte a una ragnatela fitta di interessi latenti e mai palesi, dove s’intrecciano cose tra loro anche distanti come la proprietà agricola, la speculazione fondiaria ed edilizia, i piani urbanistici locali, le aree e il controllo degli scavi e dei siti archeologici, la pressione sulle sovraintendenze specie di carattere monumentale, tutte cose che non sempre caratterizzano tali sodalizi di paese.

Pare così di essere fronte a micro associazioni etero dirette, un pò misteriche, delle etherie pitagoriche, non a veri movimenti protagonisti di battaglie civiche aperte, partecipate e condivise dalla democrazia, cioè cose, uomini e momenti che darebbero l’impressione almeno apparentemente di piccole consorterie ‘carbonare’, eroi minori e fantozziani senza alcuna macchia né alone, che però sono curiosamente riusciti a fare del credo e della loro fede naturalista, ecologista e ambientalista che dir si autoproclama, un’arma potente, persino subdola, di condizionamento dello sviluppo politico, economico e sociale dell’intera regione.

In Calabria, secondo stime non ufficiali, si conterebbero circa 20 associazioni, alcune delle quali hanno la valenza di cripto associazioni, fortemente autoreferenziate sulla figura di qualche vecchio ecologista della prima ora anni ‘80, divenuto il guru locale anche grazie alla mancanza di una vera dialettica democratica interna alla vita di siffatti sodalizi, di fatto configurate in strutture monocratiche.

Grazie a questa vera e propria ‘anonima ambientalista’, al suo uso strumentale dei grandi temi di sviluppo, quasi tutti legati agli interessi di lobbie della politica forte, la Calabria è stata, di volta in volta, dirottata e pilotata su altre linee e tracciati funzionali allo sviluppo di altre aree geografiche regionali e sub regionali che vanno dall’energia all’agricoltura, dallo grandi infrastrutture stradali, ferroviarie ecc. allo sviluppo urbanistico delle città, fino alla lucrosa e ‘lussuosissima’ gestione di ben tre parchi nazionali e numerose quanto mimetiche oasi naturalistiche, riserve naturali e marine ecc.

Una nebulosa di sedicenti ‘associazioni ambientaliste’, ordinariamente dormienti o a passeggiare tra i monti e i boschi, che raramente si mobilita sui grandi problemi ‘climatici’ ed energetici della regione e dei suoi territori, che risulta paradossalmente vigile e attiva solo allorquando si tratta di mettere mano alla composizione dei consigli direttivi dei parchi, degli organi principali nella gestione delle aree protette, metà dei membri designati dagli enti locali, a tutela degli interessi del territorio, mentre l’altra metà è scelta a livello statale, sempre e comunque con la presenza del rappresentante delle associazioni ambientaliste e di quelli del Ministero dell’Ambiente e dell’Ispra.

Tanto che, nello stesso mondo degli ecologisti regionali, sono in molti a lamentare il sempre più ingombrante peso di una cricca di cripto ambientalisti calabresi, conformatasi neli decenni trascorsi come una vera e propria lobbie ristretta ed esclusiva, che ha sempre influito sulla definizione dei programmi amministrativi delle giunte regionali, particolarmente per quel che riguarda la determinazione dei criteri di scelta dei vertici dei parchi.

Non a caso, infatti, presidenti e direttori se non erano (e non sono) uomini direttamente riconducibili a tale ‘lobbie’ vengono subito stigmatizzati in quanto non graditi, accusati di carenze di titoli e curriculum in quelle che sarebbero per loro le specifiche competenze sulla conservazione della natura, e da qui alle velate pressioni di propagandare e protestare contro a loro dire, il pericolosissimo rischio che i presidenti fossero figure ampie e diverse e che i direttori venissero scelto sulla base di vere capacità gestionali, qualità che per la cripto cricca ambientalista pur importanti non dovrebbero essere separate da specifiche competenze naturalistiche.

D’altra parte, oltre la patina o la cortina fumogena romantica ed ornamentale con cui con finzione poetica e tenacia prosaica si vogliono ricoprire agli occhi dei calabresi, i tre parchi non producono né una manciata di noccioline né tanto meno raccolgono spiccioli a lato di un sentiero sperduto tra i boschi.

In una regione sottosviluppata e povera tipo la Calabria i parchi hanno dallo loro il racconto di una porzione cospicua del PIL regionale, con notevoli royalty esatte o versate da privati e grandi multinazionali agli enti comunali, provinciali e regionali. Insomma non una ma una mandria di vacche da mungere visto che sullo sfruttamento delle acque, del legname, dell’energia, ecc. i parchi ricevono direttamente e indirettamente le somme pagate da chi sfrutta il patrimonio naturale del parco o le aree contigue per attività economiche già autorizzate. Voci che vanno dalle concessioni di derivazione d’acqua per produrre energia idroelettrica ai permessi per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi o ancora di concessioni per l’ormeggio di imbarcazioni.

I sistemi di gestione di questi tre parchi, delle oasi e delle riserve marine restano ancora oggi ampiamente opachi, poiché i propri bilanci, la struttura interna tecnica e burocratica, non risultano agevolmente leggibili in documentazione e dati di bilancio facilmente fruibili dal grande publico comunque, non sondabili in termini di benefit, prebende, concessioni, avanzamenti di carriera di tanto personale messo a loro disposizione.

Per il resto il magistrato che sta in via Berlino a Catanzaro, così è se vi pare, ci metta pure qualche nome di coa, di rosa e di persona.