In una città in cui ancora e vergognosamente campeggia platealmente sullo stadio di calcio, uno squallido monumento al Gladio fascista in onore ai caduti della ‘ridotta’ razzista detta Repubblica Sociale Italiana, lo stato fantoccio al servizio di Hitler e del nazismo conosciuto anche come Repubblica di Salò, monumento che è simbolo dell’incitazione all’odio razziale, alla deportazione e ai campi di sterminio.
di Vito Barresi
In una città dove a ogni cantone e svincolo rischi di imbatterti in stemmi, richiami e apologie di un nefasto regime, lo stesso che qui nel Sud, stava dalla parte dei feudatari, degli agrari e dei più torvi latifondisti italiani, bisognerebbe fare un plauso, forse persino dare un encomio speciale all’attenta e sensibilissima professoressa di Italiano e Latino che ha assegnato ai suoi studenti liceali un tema chiaro, uno spunto ben posto, chiedendogli semplicemente di esprimere il proprio pensiero su un argomento sia storico oltre che di stringente attualità, ponendo questo logico assunto: “Il 5 settembre del 1938 in Italia furono promulgate le leggi razziali. Oggi in Italia dopo 80 anni si registra un ritorno al razzismo, è un opinione diffusa che proprio il recente decreto in discussione al Parlamento, che riguarda l’immigrazione, contenga della istanze razziste. Descrivi le leggi razziali e confronta il testo con il decreto di recente ideazione ed esprimi le tue riflessioni.”
Una scelta tanto più importante perché la sottolineatura e il richiamo avviene proprio in questa città calabrese e del Mezzogiorno inquinata non solo dai veleni ma nella morale, contaminata nelle sub culture della marginalità, dell’esclusione e della povertà, da velenosissime ideologie demagogiche, domesticamente neo fascisteggianti, retrive e conservatrici, che allignano e talvolta tracimano in una piccola parte di ceto medio bieco e fiacco, oggi collegato persino a un’inquietante rappresentanza parlamentare, gruppi di borghesia incolta e persino seducentemente pacchiana e tamarra, alla ricerca di una qualche virtù pubblica magari nella politica e nella fede religiosa del parastato ecclesiastico.
Plauso ed encomio che esprimo a nome mio personale di giornalista e storico, ma anche più collegialmente per connotare la Memoria del fascismo e del razzismo in questa realtà sociale, economica e politica, tanto più dirimente e strategica per via del fatto che dopo Lampedusa, Crotone rappresenta uno dei primissimi hub europei e mediterranei dove non da ora ma ormai da quasi trenta anni approda gran parte dell’immigrazione dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Est e dall’Asia.
Traccia, quella della valorosa professoressa, che qualcuno vorrebbe mettere pure sotto accusa di lesa maestà salviniana, chiamando il Ministro della Pubblica istruzione a reprimere una collega di qualche sua parlamentare sodale di Movimento, che ho ricopiato a penna su un foglio di protocollo piegato a metà, proprio come fosse il compito in classe di un passato primo ottobre, memore del bellissimo quinquennio di studio, lotte, impegno e formazione passato in quello stesso Liceo Scientifico che oggi è intitolato all’affascinante personalità filosofica del più ‘bello’ e illustre dei pitagorici, il pensatore crotoniate, mediterraneo e magno greco Filolao.
E mi rivedo sotto il portico del Filolao a scrivere anch’io alcune mie modeste considerazioni su una traccia didatticamente ed educativamente legittima poiché corrispondente alle più accertate metodologie della comparazione storica, linguistica, giuridica, sociologica, letteraria, politica giusto lemma enciclopedico Treccani che sunteggia al tal proposito:
“lo studio comparativo trae origine dal fatto che ogni fenomeno sociale - come la lingua, i costumi, le leggi, il comportamento economico, il modo di governare, ecc. - assume forme molto diverse. L'obiettivo dell'analisi comparativa moderna è quello di spiegare in modo sistematico - seguendo i canoni dell'osservazione scientifica, della misurazione e dell'inferenza - le varianti dei fenomeni sociali riscontrabili in unità sociali chiaramente differenti.”
Che cosa giustifica in questo caso la comparazione tra una legge del 1938 e un decreto del governo leghista a Cinque Stelle?
Prima di tutto il fatto stesso di essere due atti giuridici, due atti politici di governo, due strumenti normativi recanti disposizione su argomenti e soggettività giuridiche comuni che sono in ordine sparso la cittadinanza, la nazionalità, la razza, il sesso, tutte cose che in un qualsiasi verbale di primo accertamento delle generalità di un uomo, una donna, un immigrato che giunga sul suolo nazionale in Italia e in Europa, ai sensi delle regole di sicurezza, qualsiasi funzionario e/o agente graduato in posto di Polizia è tenuto a redigere.
Sono dunque atti formalmente affini su cui è possibile esercitare, per analogia e similitudine, l’esercizio della comparazione, il cui esito fra l’altro dovrebbe essere finalizzato alla conferma o alla smentita di una 'ipotetica' correlazione attiva, funzionale ed espressiva del razzismo o del suo contrario, l’eguaglianza e la solidarietà.
In secondo luogo, i due elementi sono comparabili perché manifestamente riguardano quasi le stesse personalità giuridiche ossia il capo del Governo, il Ministro degli Interni, il Presidente della Repubblica, ieri il Re d'Italia e Imperatore Vittorio Emanuele III, il Parlamento, gli organi costituzionali di controllo, sia di di merito che legittimità.
In terzo luogo e nello specifico, la comparazione è confermata dall’identicità tra i due soggetti giuridici esecutivi e amministrativi che hanno potere d’azione e di regolamentazione in materia, ossia ieri e oggi il Ministero degli Interni, con il suo apparato statuale, la macchina burocratica e operativa della prevenzione e della Repressione, le Forze dell’Ordine, la Magistratura, le Prefetture e le Questure.
Infine, campeggia il gancio semantico, il link più significante tra i due testi, rappresentato dal comune uso del vocabolo, parola antica e contemporanea: “straniero”.
Oggi usata nel testo di Salvini con raffinata ma anche tattica tecnica oblativa, piuttosto per nascondimento, differentemente da quanto esplicitamente e trionfalmente stabiliva il Regio Decreto-Legge 7 settembre 1938-XVI, n. 1381, Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri.
Per conforto dei tanti allarmati benpensanti di governo, magari stessi colleghi della reproba professoressa, che rivestono anche incarichi nel Consiglio Comunale e che in proposito non hanno espresso la propria posizione di solidarietà, giova rileggere sul punto la ‘meditazione’ storico politica di Noemi Di Segni, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che riflettendo sui collegamenti, purtroppo ancora molto nitidi e consistenti tra il 1938 e la crisi migratoria sovrapposta alla politica di neo isolazionismo internazionale dell'attuale Governo Leghista a 5 Stelle, si è chiesto su Pagine Ebraiche:
“Cosa resta oggi, qual è il lascito di quella terribile narrazione? Quanto si è riusciti a realizzare in questi lunghi anni un percorso che portasse dalla “difesa della razza” alla tutela dei diritti? Quanto si è radicato nella cultura della nostra società, italiana ed europea, il rispetto per il diritto alla vita, della dignità umana, dell’uguaglianza degli esseri umani non solo dinanzi alla legge ma anche dinanzi agli uomini?”
“Alla luce di quanto viviamo oggi, con il crescente manifestarsi di atti di intolleranza razziale, odio e pericolosa radicalizzazione – purtroppo alimentati e legittimati anche da esponenti delle istituzioni ‒ questo percorso appare incompiuto e ancor più faticoso. Il tormento di oggi non è fatto solo del dolore e delle paure vissute ieri, ma anche del non essere in grado di leggere i fatti e le avvisaglie, del non riuscire a prevenire quel che pensavamo fosse superato con il varo della nostra Costituzione, e di veder nuovamente leggi e decreti democraticamente approvati, ma che violano quei fondamentali principi”.
“Abbiamo timore di trovarci nella condizione e con le responsabilità che abbiamo addebitato ad altri, in varie e note sedi processuali, di dover disobbedire a un decreto, a una legge, a un ordine, perché i valori supremi andavano difesi nel rispetto di quel profondo richiamo morale. Quando è allora il momento per dire” No”, “Basta”, affinché non sia di nuovo troppo tardi?”