Portici con vista senza albero. Luce e bellezza di un palcoscenico urbano tra brutti gazebo e bancarelle asiatiche

25 ottobre 2018, 18:08 Politica.24

Mi sembra di rivederli in una nuova luce speciale i portici di piazza Pitagora, questo pomeriggio che viaggia verso gli anni venti del nuovo secolo, senza che nessuno ti chieda di pagare il canone per la visione in un unico, piccolo mondo, di una storia architettonica che ha oltre un secolo, decorato con un manciata di decenni di fame, miseria, condizioni di vita indecorose in cui vivevano i servi della gleba cotronesi. I miei avi erano venuti più o meno allora dalla Sicilia Jonica in un altro quadrante della Magna Grecia, tutto colonne e tufo, argilla e grano, mito e mistero, menzogne e miserie, paure e fantasie.


di Giovanna Fichera

La bisnonna aveva il terrore del maremoto, l’onda che poteva alzarsi da un mare tumultuoso che era stato nella notte del mondo antico la casa di Nettuno, il paese di Ulisse, la parola di Omero.

Per questo venne a vivere con la sua famiglia nella Cotrone d’epoca, la piccola cittadina che nei primi del Novecento si liberava dalle mure antiche e costruiva un più moderno assetto urbano, fondamentalmente centrato sul rapido circuito di un grande Porticato di tufo locale che collegava Mercato e città vecchia, il porto commerciale e la via per Capocolonna, la campagna e la spiaggia, i carri del latifondo e le carrozzelle dei traineri.

E ora che dalla Sicilia ritorno per lavoro e per qualche periodo dell'anno, nello stesso luogo della memoria familiare, guardando i portici senza l’ostacolo oculistico delle fronde di pino, tornano alle mia memoria le sue fiabe, le pupe di zucchero, il pan di castagna, il miele e i crustoli, le lumache e le cicorie, i suoi racconti fatati di orrende streghe e fatali orchi, lupi mannari e violentatori di bambine, personaggi da brivido che divietavano il passaggio oltre il limite dell’unica piazza a denominazione d’origine dedicata alla mega mente universale del pensiero filosofico e scientifico d’ogni tempo, Pitagora, Teano, Filolao, Alcmeone, Zeusi...

E quando il sole del meriggio autunnale finalmente illumina questa scena brillante e lucida, ancora bagnata dall’acqua pluviale, lo sguardo infilza la piazza per esteso, proprio come in un film, passando attraverso gli archi del colonnato, sfondando la panoramica fin sulla faccia del duomo antico, costruito con le antiche pietre del tempio, intuisco che qui il tempo è tanto spietato e ignaro che non esiste.

Lo spirito e il destino s’intrecciano e si attraversano senza resistenza tra il cielo e la terra, tra l’aria e l’acqua, elementi ecologici che sono tra loro sovrapposti, nascosti, e più vicini.

Comunque tanti amici locali, sherpa di un ambiente intricato come una contorta savana di doppio giochismo, mi informano che nella storia civica anche un altro albero era caduto in Piazza della Cattedrale. Più precisamente abbattuto con violenza e forza armata. Era l’albero della libertà issato dai giacobini e travolto dai sanfedisti del Cardinale Ruffo.

Si da il caso che l’albero appena aduto non rappresentasse alcun vessillo di liberazione anche se se la pioggia con la pianta sradicata ha svolto la parte maieutica di un grande architetto dell’urbanistica cittadina, molto più coraggioso di tanti tecnici iscritti all’ordine ma alla paga del Comune, della Provincia e della Regione Calabria, che non riescono a realizzare nessun serio progetto di restyling di una piazza scaduta al rango di una rotatoria di paese.

Dicono adesso che stanno per rifare l’illuminazione che per la verità c’è con lampioni ancora semi nuovi.

Chissà perchè e per chi si cambia l’illuminotecnica quando sarebbe necessario un restauro preventivo delle colonne, l’eliminazione di due/tre sgraziati gazebo, un vero e proprio scempio che deturpa l’estetica e la fruizione integrale e complessiva dei Portici, degradandoli e sfigurandoli, che posti all’inizio e alla fine, intaccano la naturale fruizione di un patrimonio monumentale e urbanistico di significativa valenza conservativa, senza che nessuno dica qualcosa, con il beneplacito e le autorizzazioni del Comune, e osiamo immaginare persino della Soprintendenza ai Beni Culturali e Monumentali.

Quei due/tre gazebo sono esteticamente insostenibili, anzi determinano confusione e disordine stradale, e forse qualche problema di sicurezza e incolumità, nell’ipotesi di qualsivoglia pericolo o generico rischio.

La pioggia ha ben saputo svolgere il compito, lavorando goccia a goccia, come si diceva in dialetto, facendo la parte del ‘guttaro’.

E’ bastata solo una sera per rimuovere l’ingombrante pianta caduta a terra come un grande cespuglio e ridare apertura, orizzonte visibilità alla bellezza e all’importanza dei Portici che si aprono a ventaglio sulla Piazza di Pitagora.

Quanto ci vorrà per rimuovere i Gazebo e ridare dignità ai Portici, bene comune di tutti i cittadini?