Salve a tutti razza padrona dei SalvinGrillini. Se ci mettiamo sul piano inclinato su cui adesso si trova il Conte Tacchia tra Roma e Bruxelles, si scorgerà che è piuttosto facile far finta di salvare il salvabile al posto di aver già pronto un nuovo paradigma per rianimare l’Italia dopo lo chock di meno di sei mesi di governo allucinante. Il quesito post lavoro nero è semmai: ma c’è l’hanno mai avuto un progetto oltre al semplice contratto leguleo? Scaltri e superlativi nel miscelare abilmente la massa solitaria degli indifferenti, frammenti di piccola borghesia spappolata dalla globalizzazione, con le urla di bande di impoveriti del gretto popolino plebeo, il modello purtroppo si è scoperto che non c’era. Quel che resta delle smisurate boiate pazzesche urlate da Grillo in ogni teatro a pagamento, è solo un fantasma di contratto pronto ad essere stracciato da una parte o dall’altra, di cui qualcuno alla fine rivendicherà anche una salata parcella. Ecco perchè mentre Lui vampirizza I grillini succhiandone fino all’ultima goccia il sangue ingiallito, proprio come in un film dell’orrore politicamente corretto, contro questi nuovi mutanti mediatici che puzzano di politica stravecchia, non resta che rimettere nel microsolco il disco, far ripartire la musica da un 33 e un 45 di Francesco Guccini e I Nomadi, riascoltando lentamente la loro programmatica ‘Noi non ci saremo’ con le sue parole forti e chiare: “e il vento d'estate che viene dal mare intonerà un canto fra mille rovine, fra le macerie delle città, fra case e palazzi, che lento il tempo sgretolerà fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo…”
di Vito Barresi
Se si alzerà il vento contro la tracotanza ideologica di un leghismo rimasto senza idee proprio dal Nord? Lo minacciano gli industriali a Torino, quelli che non andranno a Roma, dove dicono a squarciagola noi con Lui non ci saremo.
Lui ribatte, tra Ponti distrutti e Pontide abbandonate, reagisce, pensando sotto sotto al lato debole della sua stracca narrazione identitaria che sul palco questa volta sarà solo, neanche l’ombra di Don Silvio e neanche addio mio bello addio, della Meloni o di chi sa chi lo sa.
Bomba o non bomba, prima al casello in fiamme di Bologna, poi tra i ponti caduti e i valichi non ricostruibili, sono rimasti incagliati i misteriosi pesti genovesi che continuano a grondare di sospetti e strani passaggi in corsia d’emergenza di due camion con autisti in tuta gosth che hanno causato il collasso del sistema viario italiano.
La Lega degli Zombi arriva a Roma prenatal con il tasso di crescita a figli sottozero, venendo, mai intervistare questa folla trasudante il disumano xenofobo, da ogni parte della landa padana, quel lacerto di fango e terremoto, emblematico di un territorio stuprato dalla velenosa violenza dell’acqua nell’ampolla, intossicato dallo sversamento delle quote latte, dai vomiti antimeridionalisti dei comizi d’estate nei Belsito di Parco Sempione assiepati tra i cronisti del sabato, dalle cordate sadomaso della ‘ndrangheta in zona lombarda, coloro che hanno distrutto e spappolato la mente e il cuore di intere popolazioni pedomontane, stritolate dalle cazzate del primitivismo bossiano che non sopportava neanche il professore Gianfranco Miglio, dall’intreccio orribile tra i vaffanculo day del gran comico del circo equestre e l’urlo barbarico di Roma Ladrona.
Hanno devastato il Nord e ora con furia da termiti stanno sbriciolando il resto dell’Italia per riportarla indietro sullo strapiombo storico del 1800.
Il banco parlamentare è diventato branco di lupi Ezechiele che dirottano la nave che non va, senza snadaglio nè sonar, dritto verso l’Isola del Giglio, il porto di Odessa, la base di Kaliningrad, facendo colare tutti a picco, nella tempesta perfetta scatenata dal meteo col colbacco tra il porto di Schettino e quelli chiusi da Salvini.
Italia in rotta di collisione con se stessa, destinata da essere sconfitta e a firmare una resa che chiameranno trattato di pace, dopo aver tentato di scatenare la loro prima, comica e surreale, prima guerra d’indipendenza europea.
Sicchè il filo illogico di questa marcia sulla Capitale non è contro il Capitale quanto avversa a un’idea forza d’Europa Unita, un attacco forse ispirato dal Cremlino, passando per Brexit, sorvolando Washington, con l’Italia vittima sacrificale del suo proprio destino in declino altrimenti irreversibile.
Lui ci sarà a Roma in una piazza chiusa ai contestatori dove non esiterà a raccontare le storie di un giovane vampiro delle emozioni politiche populiste.
Ha pure un parente che risponde ai wats app vocali delle sue telefonate, un discreto debito con l’Erario di Stato e la Giustizia, una connessione poliziesca superveloce che ogni tanto s’inceppa, un paio di frasi ad effetto per ogni dichiarazione altisonante, mai una lacrima nenache artificiale da concedere ai selfie del cinismo.
Questa è una storia che potrebbe annoiarvi. Per questo non siete obbligata a leggerla.