La nuova era industriale di Taranto in un Mezzogiorno senza idee di sviluppo

13 dicembre 2018, 10:17 100inWeb | di Vito Barresi

Il 2019 sarà un anno decisivo per l’economia industriale dell’intera area jonica meridionale che ricade nel Golfo di Taranto. A cinque anni dal sequestro dell’Ilva, una nuova compagine di capitali, investitori e management, che fa capo al colosso mondiale dell’acciaio Arcelor Mittal Italia, ha avviato un ampio e impegnativo progetto di rilancio produttivo nel settore siderurgico e di riqualificazione del patrimonio industriale tarantino, uno dei più importanti nella storia del Mezzogiorno, che era stato fortemente intaccato dall’inquinamento e dai veleni, con pesantissime e costosissime ricadute negative sull’ambiente e la catena bionaturale del territorio. Tra nuova industria e rigenerazione ambientale a Taranto, una tra le più antiche e belle città del Mediterraneo, deturpata da un’industrializzazione lasciata per decenni a briglia sciolta e senza controlli, si potrebbe aprire una nuova pagina di sviluppo, lavoro e qualità della vita, esempio di ripresa e prospettiva per il Sud.


diVito Barresi

Altro che disfida di Barletta. La storia è pesante, molto di più dei metalli prodotti e sversati indiscriminatamente, ammassati con procedura da serial killer ambientale sull’assetto ecologico e mitologico di una perla della Magna Grecia, a Taranto la conchiglia di Venere, bellissima, sinuosa, ammaliante e magica, il cui delicatissimo impianto vitale, demografico, economico e produttivo venne ‘violentemente’ modificato con l’apertura degli alti forni del IV Centro Siderurgico ltalsider entrato in funzione nel 1965.

L'area di sviluppo industriale di Taranto, era parte del ‘polo pugliese’, ne rappresentava una provincia a Mezzogiorno dove uno dei più grandi crimini ambientali d’Italia si è consumato in poco più di mezzo secolo.

Sullo sfondo di una vicenda dolorosa, complicata, in cui appare il fantasma marxista del genocidio globalista e culturale dell'antica classe operaia, il segno forte del power working svanito per molti funzionari del sindacalismo e dirigenti degli storici partiti della sinistra in cerca di nuove greppie elettoralistiche, nonostante dubbi, perplessità, con le sempre vigilanti preoccupazioni della popolazione locale, i lavoratori e una sempre più frantumata comunità politico sindacale di vecchia e nuova sinistra, quasi tutti e con qualche logica eccezione, sperano che con il nuovo anno anche a Taranto prenda il via una nuova epoca industriale in linea con le sensibilità contemporanee, opportunamente adeguata in termini di innovazioni tecnologiche e dei valori aggiunti di sostenibilità e compatibilità ambientali.

Non sarà impresa facile e agevole ritessere la tela sociale del conflitto e della coesione in cui si ricomporrà il futuro rapporto, quanto idilliaco non si sa ancora, fra la grande città jonica e un’industria che ha lasciato incrostazioni pestilinziali, seminato la zizzania dei contrasti e dei dualismi, delle contrapposizioni e degli odi trasversali che già, con qualche accenno di profezia, nella notte di Natale del 1968, celebrando messa nel grande hangar della siderurgia appartenente alla Comunità Europea del Carbone e dell'acciaio, anche il Papa Paolo VI evidenziava nella sua omelia alle tute blu.

Tra le macerie lasciate ovunque sul vissuto comunitario e sul contesto ecologico locale da una vicenda storica che ancor oggi suscita attenzione non solo tra gli investitori ma anche nella pubblica opinione europea e internazionale, non sono pochi i gruppi, le enclave degli sconfitti e dei reduci della guerra industriale che intonano il blues del dolore e della giustizia generazionale.

Per Taranto riaprire il gigantesco capitolo dell’industria significa far passare il cammello dell’inquinamento nella cruna di un ago d’acciaio prodotto da un’altra tipologia d’industria pienamente compatibile con l’ambiente e la salute dei lavoratori, divenendo esempio e modello d’esportazione dentro e fuori il Paese, l’Unione Europea, l’apparato capitalistico mondiale.

“Sicurezza, salute e lavoro”, questo il ritornello ripetuto in più occasioni da Matthieu Jehl, amministratore delegato in Italia e secondo in grado di Arcelor Mittal, ove per lui non avrebbe altrimenti utilità “produrre una tonnellata di acciaio se non si torna a casa in salute e questo lo facciamo solo con formazione, monitoraggio ed organizzazione”, nel mentre il reale obiettivo di Arcelor Mittal Italia è di assurgere a referente su sicurezza e lavoro per tutto il gruppo, a livello europeo”.

Per questo lo staff di manager, tecnologi, sociologi ed esperti che ha riaperto uno tra i più controversi archivi di storia industriale nazionale, in breve la task force che si è posizionata su uno dei siti più affascinanti e significativi della mappa geografica e della bellezza mediterranea, deve gestire un business plan con un investimento di 2.4 miliardi di euro, di cui circa la metà, 1.15 miliardi, da spendere per la tutela ambientale.

Un revamp ambizioso che parte dalle cokerie che sarà dotata di una centrale pilota, parallela a un nuovo impianto best in class per il trattamento delle acque per ridurre il consumo di acqua del mare.

Un piano di trecento miliardi da impiegare per la copertura dei due parchi di materie prime, da dove uscivano le polveri che erano coltre perenne al quartiere Tamburi, puntando alla riduzione di emissioni diffuse e canalizzate, utilizzando nuovi filtri per gli impianti di agglomerazione, con applicazioni di linea e processi che dovrebbero portare a una riduzione del 30% delle polveri per la prima linea dell’impianto già prima del 31 marzo 2021 e del 50%, per la seconda per il 30 settembre 2022.

Sulla carta capitoli, paragrafi, note e appunti adesso sono in bella copia, come una fotografia che lascia in negativo e si trasforma nell’immaginazione del futuro.

Anche quando dal cielo cade pioggia acida in questa città il giorno e la notte sono sempre trapuntati dagli ori di Taranto. Decadente ma affascinante polis del Sud Italia, con il suo accento postoi su una finestra a Mezzogiorno di poesia e nostalgia che sta tra la Grecia e la Libia, golfo geologicamente dirimpettaio di quello della Sirte, da qui si parte e si riparte ancora a binario unico per scendere più a Sud, in viaggio verso Reggio Calabria.

Rientrando nel convoglio di una Storia che sogna, dondola, allenta la prese con i problemi e le contraddizioni del presente. Scendendo così in un profondo inconscio meridiano, l'Ade italiana dove nessuno più crede realmente a una vera prospettiva di sviluppo del Sud.