Cittadini non si nasce, si diventa nel nuovo libro di Mark Lilla

30 gennaio 2019, 19:08 100inWeb | di Vito Barresi

Se vogliamo sopravvivere a Trump (“un indemoniato ma molto abile demagogo che continua imperterrito ad accumulare potere mettendo gli americani gli uni contro gli altri”) da dove dobbiamo ripartire? Pensa e sostiene Mark Lilla, politologo e docente di Humanities presso il Dipartimento di Storia della Columbia University in New York, autore del saggio "L'identità non è di sinistra" (Marsilio 2018), che siamo già andati oltre la sensibile impressione presocratica che le nostre democrazie occidentali si stanno spezzando in due tribù contrapposte e tra loro nemiche, più che rivali o concorrenti, ciecamente avverse e antagoniste.


Vito Barresi

A tal punto che nel suo libro non fa velo di paventare la spaventosa fine possibile delle democrazie, se in qualche modo non si fermerà l’escalation del populismo, dell’antipolitica che adesca all’amo (‘la politica elettorale è un pò come pescare. Quando vai a pesca devi alzarti presto e andare dove ci sono i pesci, non dove vorresti che fossero’) la sempre più amorfa moltitudine degli apolitici, costantemente alla ricerca di una qualsiasi identità.

La democrazia occidentale, con la sua gloriosa storia secolare, costruita attorno al concetto di libertà, partecipazione e rappresentanza, si incastona in una lunga civilizzazione mondiale dell’epoca moderna, ampiamente basata sulle basi morali di una democrazia (come sottolineava Barrington Moore) in una struttura materiale di cittadinanza, interpretata e codificata in quanto diritto inclusivo delle differenze e delle diseguaglianze, ma che oggi appare fortemente scossa nelle sue fondamenta, in evidente difficoltà e pericolo sia in America che in Europa.

Tutto questo, scrive il politologo americano, potrebbe accadere realmente e prossimamente se la politica, specie quella di sinistra si riduce a mera cassa di risonanza dell’identità (razza, sesso, età, censo, gruppi esclusivi e minoritari), se sfortunatamente dovesse imboccare, perdendosi, una scorciatoia lastricata di illusioni e di ricchi premi elettorali, passando attraverso le forche caudine dell’affermazione egoistica dei particolarismi e degli arcaismi, della soddisfazione pulsionale dell'inconscio primitivo dell’orda, piegandosi al potere crudo delle differenze d’interesse tra clan e tribù, rassegnandosi alla negazione di un Noi sociale che include, in breve imboccando la breccia aperta dal populismo e dall’antipolitica, dove fa bella mostra di se, mediatica, televisiva, modello social media e online, spesso in forma di fake, a mezzo stampa, la sbandierata e attraente mela avvelenata dell’identità.

Perchè, avverte il professore newyorkese, se la politica è identità o si riduce a tale, se la mettiamo costantemente sotto attacco e in dubbio, se solleviamo il dubbio sulla nostra stessa, segmentata e frammentata, identità, risulterà matematico, per non dire trigonometrico, che tutti andremo a finire nella selva oscura della politica identitaria, tutti dovranno subire la regressione ad un sistema di relazione senza confronto e di tipo tribale, che poi è già nient’altro che l’ostacolo più grande alla convivenza democratica e civile, perché spacca la comunità in gruppi che non comunicano fra loro e fra i quali incentiva e fa crescere l'aggressività, la pretesa di dominare, sovrapporsi e sovrastare gli altri.

Ecco perchè la politica solo per l'identità personale è sconcertante, specie quando si deve constatare amaramente che le nuove generazioni sono esclusivamente concentrate sulla loro identità, quando inquadra e mette a fuoco il declino della visione integrale della politica, con le sue grandi ideologie, con le proprie narrazioni storiche, inneggiando all’etica dell’egoismo, al prima vengo io e poi si vede il resto, all’apoteosi dell'individualismo radicale.

Questa rinuncia all’impegno politico, alla militanza per le idee e per la coesione sociale, la mancanza di una visione ambiziosa dell'America e del suo futuro, capace di promuovere partecipazione tra i cittadini di ogni ceto sociale e di ogni parte geografica degli Stati Uniti, è certamente frutto della crisi del liberalismo americano del XXI secolo, che lo storico tratteggia in forma di crisi di immaginazione, segnata dal divorzio tra sentimenti popolari e politica delle élite.

In questa tormentata e insidiosa transizione, il nodo da sciogliere è quello del legame a rischio tra perdita dell’uguaglianza e differenze di status e condizioni, con in mezzo la variabile ‘culturale’, sfuggente e ambigua dell'identità.

Su questo ceppo virale è cresciuta minacciosamente e arrogantemente una destra radicale prepotente, tanto che diventa davvero difficile non avere l'impressione che si tratta di un film già visto, ben sapendo che le democrazie senza democratici non durano, ma si decompongono, trasformandosi in oligarchie, poteri dittatoriali subdoli, demagogie istantanee, munite di slogan inconfutabili con la forza lenta del ragionamento e della convinzione.

Oggi la destra rispetto alla sinistra mostra dalla sua la capacità di strumentalizzare, senza alcuno scrupolo morale, la lacerante diversità situazionale in cui il cittadino contemporaneo vive la sua molteplice e faticosa identità complessa di uomo economico, produttivo e consumistico, attivo o escluso dal lavoro e dal reddito, sociale e relazionale, partecipativo o obbediente, esposto continuamente al rischio di vedersi strumentalizzato e distorto nella sua identità etnica, sessuale, generazionale, magari finendo prigioniero di un'identità radicalizzata nel senso negativo, che gli impedisce di trovare lo spazio e il tempo di un’unità reale in noi stessi, per noi stessi, nel noi della società, della cittadinanza e della democrazia.

L’importanza del saggio di Mark Lilla sta nel porre con schiettezza il problema di quale cittadinanza sia possibile oggi nella nostra epoca.

E di quale sia il progetto democratico dal punto di vista politico, nell’urgenza della dialettica pubblica, o meglio il progetto politico dei democratici per affermare e rendere sostenibile una nuova dimensione della legalità democratica, in un contesto globale estremamente più frastagliato, una cittadinanza adeguata all’epoca attuale, necessariamente multiculturale, multirazziale e multinazionale.

Se si vuole impedire la definitiva e quasi furibonda cacciata dei ‘democrat’ da quel vero e proprio 'paradiso terrestre' che era stato la seconda metà del vecchio secolo, con il suo welfare state, la golden age, il New Deal e la Great Society, occorre tornare a considerare la politica come un momento di coesione, un progetto comune, guardarsi indietro ma all'interno di un'avventura democratica comune, in cui la particella ‘Noi’ è un concetto capace di includere il reale stato di fatto dell’ individuo-massa-collettività.

Tuttavia per l’autore è opportuno precisare che la formazione alla cittadinanza non è una cosa secondaria, un fiore all'occhiello da portare orgogliosi perchè cresce da solo a partire da un grande mercato planetario e universale delle democrazie.

Con prosa vivace e colta, ben moderata in una puntuale quanto precisa narrazione storica dei cicli della politica americana, Mark Lilla miscela con sapiente armonia, la lezione di David Riesman, il sociologo autore del famoso ideal-tipo della ‘folla solitaria’, con la purezza del sentimento patriottico e solidaristico di Walt Whitman, il letterato e poeta della democrazia americana che con rara raffinatezza recitava la sua fede civile, l'american dream di una originaria cittadinanza, nella policromia classica delle Foglie d’erba, forte dei vigorosi pensieri civili del suo indimenticabile Democratic Vistas’.