Analizzare il cammino della squadra rossoblù sembra complicato, un andamento altalenante, viste le premesse d’inizio campionato, ma forse è più semplice di ciò che appare.
di Cinzia Romano
La realtà è una sola: il Crotone è a -6 punti di distanza dalla zona salvezza; il Livorno ha una partita in meno; il Foggia, che strappa un pari al Barbera contro la capolista Palermo, si porta a 19 punti; la meta salvezza, dettata dalla quindicesima posizione in classifica, con una media punti a partita di 1,14, si è elevata a 42 punti.
Bisogna quindi vincere almeno 8 partite delle 15 rimaste da giocare.
Praticamente per il Crotone non è cambiato nulla da inizio campionato, prima si scendeva in campo con l’obiettivo promozione che imponeva di vincere, ora si deve assolutamente vincere per mantenere la categoria.
Il girone di andata ha ben delineato gli obiettivi di tutti: dalla prima posizione alla quindicesima, ogni squadra distacca la precedente di solo un punto, quindi le prime otto sono coinvolte in un possibile salto diretto di categoria e le successive otto in un possibile aggancio playoff; mentre le ultime cinque devono inseguire la boa più vicina per mettersi in salvo.
Il mercato rimpasta
lo spogliatoio:
correre in undici e
pensare per uno
Il mercato di gennaio ha rimpastato gli spogliatoi dei vari club, il tempo per un perfetto assemblaggio è limitato, gli ultimi arrivati devono amalgamarsi velocemente.
Non c’è più spazio per le individualità, bisogna correre in 11 ma pensare per uno, perché a fare la differenza, non sono i numeri dati in pagella a fine partita ai singoli ma quelli dei gol realizzati, subiti e dei punti conquistati dalla squadra.
Il pareggio con il Livorno ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, soprattutto perché gli ospiti il primo tiro in porta lo hanno fatto al 69’, ma non si può dare per scontato che capitan Cordaz e compagni abbiano avuto una reazione immediata ed efficace contro una squadra che non perde dal 2 dicembre.
Dare continuità di risultati porta l’inerzia giusta per entusiasmarsi e per trascinare i tifosi a credere che non tutto è perduto. La storica salvezza di due anni fa, impone di pensare positivo.
Leggendo la formazione non si trovavano grandi nomi, (l’unico che gioca oggi titolare in serie A è Gianmarco Ferrari), ma quando scendevano in campo vedevi uomini giocare con l’anima, che negli ultimi due mesi hanno entusiasmato gli italiani con uno sprint da primato stagionale: 20 punti nelle ultime 9 partite, meglio della Juventus!
Un’impresa resa possibile da giocatori che nelle difficoltà hanno saputo trovare coesione e coraggio. Non c’erano gerarchie ma solo unità di intenti.
Lo spogliatoio
a “chiusura ermetica”:
nessuna gerarchia,
solo unità d’intenti
Additati da tutti come inadeguati alla categoria, si inventarono lo “spogliatoio a chiusura ermetica” da cui non trapelava mai un malcontento, mai una parola di troppo, solo lavoro, allenamenti e concentrazione al prossimo avversario.
I gol erano la molla che faceva fiondare dalla panchina chi era momentaneamente a disposizione della squadra, tutti pronti mentalmente anche se non fisicamente in campo.
Alex Cordaz, Marco Festa, Andrea Barberis, Mario Sampirisi, Marcus Rohden, Simy, Andrea Nalini, indossano ancora la maglia rossoblù e, da leader indiscussi, dovranno abilmente distribuire il peso delle responsabilità sui propri compagni di squadra, delineando anche agli ultimi innesti le giuste linee guida.
Uno tra questi è Zinedine Machach, arrivato dal Carpi, diretta concorrente del Crotone, al posto di Giovanni Crociata. Uno scambio apparentemente impari, se si pensa che il franco-marocchino di proprietà Napoli quest’anno (tra campionato e Coppa Italia) ha giocato i 563 minuti, contro i 104 minuti della giovane promessa Milan, lanciata nel marzo 2016 da Sinisa Mihajlovic.
Evidentemente per la società emiliana, le turbolenze create nello spogliatoio, ad inizio stagione, sono state più forti delle sue doti tecniche, qualità che la tifoseria pitagorica aspetta di vedere sul verde dell’Ezio Scida, così da trasformare il “bad boy” in “good boy”.
L’attesa per Ahmad Benali
e Andrea Nalini
e il giallo senza fine
di uno dei due
infortunati "di lusso"
La stessa tifoseria attende la ripresa dei due infortunati di lusso: Ahmad Benali e Andrea Nalini. Il primo, fuori dalla metà di ottobre a causa della rottura del quinto metatarso e subentrato per 15 minuti, nella gara casalinga contro il Cittadella, e per 30 minuti contro il Livorno. Il secondo, out dal 7 ottobre quando rimediò 16 punti di sutura nella regione mediale del ginocchio e non ancora completamente guarito.
In particolare il caso di Andrea Nalini, sembra essere diventato un giallo senza fine, a cui non si riesce a venirne a capo. Il suo nome è stato per mesi accostato al calciomercato e additato come tra gli “scontenti” della vecchia stagione, ma che a differenza di Budimir, Stoian, Faraoni e Martella, alla fine è rimasto tra le fila dei pitagorici.
Una risorsa della società che deve essere assolutamente recuperata, un calciatore veloce, potente, bravo negli inserimenti e sicuramente utile nelle dinamiche di gioco.
Un ragazzo che fuori dal campo conosce il sacrificio, avendo lavorato per anni come operaio, pur di inseguire la sua passione, tanto da arrivare in poco tempo dalla serie D alla serie A.
Dall’area medica si devono dare delle risposte chiare, dei tempi di recupero precisi, perché non si lasci spazio alla fantasia e porti l’ambiente a disinnamorarsi di un calciatore che, il 28 maggio 2017, nell’ultima e decisiva gara disputata contro la Lazio, con la sua doppietta, fece esplodere di gioia Crotone, regalando la vittoria salvezza.
L’anima del gruppo:
quell’arma in più
per la società pitagorica
Negli anni, l’arma in più dell’FC Crotone è stata sicuramente l’anima del gruppo, la sommatoria di chi ruota intorno alla squadra, dalla dirigenza al magazziniere, dai giocatori ai tifosi, dall’addetto alla manutenzione del campo allo staff tecnico. Chi fa parte della squadra deve lavorare per il bene comune convinto delle chance salvezza.
Ci si aspetta quindi che da ora in poi si tiri fuori solo il positivo che c’è, proprio come nella vita sanno fare coloro i quali nelle difficoltà trovano la forza di rialzarsi, di sfoderare il miglior sorriso e di lottare.
E per lottare devono giocare calciatori che sappiano stare in campo non solo tatticamente ma anche atleticamente.
Quando al termine della gara contro il Livorno, si fa notare che la squadra sistematicamente ha dei cali nel finale, mister Stroppa non sa dare una risposta precisa alla condizione fisica dei suoi giocatori, rimarca di essere arrivato dalla partita di Ascoli e parla anche di paura.
Attenuanti da inizio campionato ne potremmo trovare tante, forse troppe: amore mai sbocciato tra ambiente e tecnico, pressione degli obiettivi da raggiungere, il fallimento del campionato precedente, la speranza disattesa della possibile riammissione al torneo di serie A, cambi tecnici e tattici, l’insoddisfazione di alcuni giocatori spremuti nelle motivazioni da tre anni intensi, infortuni di calciatori importanti, arbitraggi in alcune gare sconcertanti: e ne potremmo aggiungere ancora tante altre ma sarebbe inutile.
I ritmi, i tempi di manovra
e le soluzione di gioco
del Rottweiler affamato
Sebbene manchi la continuità di un programma ragionato sull’intera stagione, lo staff tecnico dovrà dare le risposte che servono a capire se la squadra può correre un’intera maratona con lo sprint da velocisti o, come spesso accade, dover assistere ad una mezza maratona corsa in apnea.
I ritmi imposti dal gioco di mister Stroppa sono altissimi, dalla panchina detta tempi di manovra e soluzioni di gioco alla squadra, sembra un Rottweiler affamato che morderebbe le caviglie non solo agli avversari, ma anche ai suoi calciatori. Pressione che a volte però si trasforma in giocate frenetiche e perdita di lucidità.
In attesa che si sciolgano i dubbi, questa squadra di certezze ne ha sicuramente a sufficienza per poter disputare le prossime gare con la giusta dose di qualità, di coraggio, di determinazione, di grinta e di emozione.
La stessa emozione che si vede negli occhi di un bimbo quando guarda per la prima volta un pallone, proprio come quella di Mattia Pettinari, che ha portato la sfera a centrocampo insieme alla terna arbitrale, al ritorno di papà Stefano in maglia rossoblù.