Sud Colonia Tedesca. Come ridare centralità europea alla questione meridionale secondo Andrea Del Monaco

16 marzo 2019, 11:13 100inWeb | di Vito Barresi

Forse toccherà ai nuovi assetti del potere politico ‘unionista’ dare una volta per tutte una diversa direzionalità alla crescita e al ruolo futuro dell’Europa. Magari cominciando, per quanto riguarda l’Italia, da quell’atteso miracolo di San Gennaro che finalmente libererà il sud della nefasta magia che lo imprigiona da oltre un secolo e mezzo, al pregiudizio e allo stigma di essere per l’eternità niente di più che un’area svantaggiata, una zona in ritardo di sviluppo, la macroregione depressa come fin qui è stata etichettata da tutte le politiche di sostegno nazionali e comunitarie. Nell’attesa del lieto evento tornerà utile ripercorrere in una sintesi particolarmente acuta e ben aggiornata, non solo la storia ma anche la traiettoria di una nuova prospettiva economica e sociale di respiro europeista, proposta con passione e ragione analitica da Andrea Del Monaco con il suo rigoroso e approfondito saggio “Sud Colonia Tedesca”, la questione meridionale oggi, pubblicato dalla Ediesse.


di Vito Barresi

Sud Colonia Tedesca è un titolo che rimanda in un certo senso ad alcuni spunti di un filone di studi sullo sviluppo in ambiente ostile, svolti in ‘gioventù’ da Giovanni Arrighi che, nel corso di un’inchiesta sul Mercato del Lavoro in Calabria a partire dal 1950 al 1970, un ventennio non a caso segnato dall’avvento prima del Mec Mercato Comune Europeo e poi della Cee Comunità Economica Europea, aveva proposto a riguardo tre percorsi ideal-tipici verso la crescita capitalistica: la via «prussiana» (quella dell’area del crotonese), la via «americana» (nella Piana di Gioia tauro) e la via «svizzera» (nell’area del cosentino).

Anche se non è questo, almeno apparentemente, il ‘focus’ dell’analIsi di Del Monaco, se solo si riandasse all’esperienza della storia, a quella fulminea stagione della Liberazione anglo americana, forse qualcuno potrebbe riattivare un ‘laboratorio’, oggi si direbbe una ‘start-up’, in pochi anni chiuso, abbandonato e distrutto dalla ricomposizione del dualismo interno alla cornice dell’unità nazionale, germinalmente proposto da quella ‘lezione americana’, allorquando in quei pochi anni tra il 1943 e il 1945, con il concorso delle Am-Lire e di un ‘laissez-faire’, senza tasse e con solo incentivi ‘immateriali’, tutti strabuzzarono gli occhi di fronte all’improvviso pre ‘miracolo economico’ di un Mezzogiorno capace di autorigenerarsi e risvilupparsi in una sola, brevissima stagione.

Riaffermare e rilanciare la dimensione europea in quanto parte essenziale della storia e del futuro del Mezzogiorno non è una cosa facile da realizzare. Ma per far si che si possa avviare tale sogno è necessario conoscere con esattezza le vicende più recenti del Sud, sia quelle politiche, economiche e culturali, per costruire una nuova politica non solo meridionalista ma questa volta e ancor di più unitaria, mediterranea, italiana ed europea.

In questo libro torna alla ribalta la questione meridionale come massima espressione della crisi italiana, e nella sua corrente fattispecie come corrispettivo risultato della crisi del modello settentrionale, del dualismo storico, tanto più evidente nel quadro europeo, proprio perchè manca una soggettività politica, anche in termini di rappresentanza, culturalmente consapevole degli interessi strutturali ed economici del Mezzogiorno.

Probabilmente, a me pare di cogliere questo suggerimento dalla lettura del libro e dall’ascolto dei suoi interventi, Del Monaco dice che se alcuni di questi ‘straordinari’ elementi e fattori propulsivi che contraddistinguono non da adesso ma da secoli il Mezzogiorno, venissero ben interpretati, promossi, valorizzati, e per questo rimessi al centro e dentro, come carburante ottimale, nel motore di un nuovo sviluppo di raggio europeo e globale (cfr. gli studi quasi di fattibilità, pre cantierabili di Marco Canesi, urbanista del Politecnico di Milano) il Sud potrebbe riscattarsi dal colonialismo non solo tedesco, per esporsi finalmente alla luce di una riconquistata consapevolezza di essere la piattaforma intercontinentale, un gigantesco interporto dello scambio tra Asia, Africa ed Europa, in breve un angolo strategico e di grande spicco mondiale, cuore pulsante delle reti e dei progetti di armonizzazione e bilanciamento economico tra il nord e il sud, l’est e l’ovest dell’intera Unione Europea.

Per questo si tratterebbe di effettuare alcuni passaggi fondamentali, nella misura in cui tale logica divenisse scelta politica da parte del ceto dirigente meridionale e nazionale, trovandosi quest'ultimi, pronti a dire tutta la verità sui fallimenti del passato, le disuguaglianze evidenti di un Europa particolarista e frammentata, in cui i vari Paesi sono tra loro non sul piede della parità di fronte alle regole del Fiscal Compact, alla redistribuzione delle risorse nella Zona Euro, agli effetti delle manovre sulle economie e la ricchezza nella vasta geografia regionale, tra cui in evidenza proprio il Mezzogiorno.

In altri termini ammettere che le politiche di consolidamento fiscale hanno devastato totalmente i circuiti economici locali, divelto le connessioni regionaliste, con effetti recessivi sull’intero tessuto sociale del Sud.

Per non dire della brutale dismissione dell’Intervento Straordinario, dello smantellamento della Cassa del Mezzogiorno, tutt e soluzioni poi risolte nell’errata equazione che al Sud, bene avrebbe fatto comunque e a prescindere, qualsiasi complemento di programma a norma Cee approvato dalla Commissione e dal Governo, come ad esempio le continue rimodulazioni annuali, triennali e quinquennali del Fondo di Sviluppo e Coesione, contenitore di bilancio in cui solo virtualmente venivano appostate risorse finanziarie finalizzate a macroscopici piani di investimenti e programmi di adeguamento e innovazione infrastrutturali, quando realmente risultavano spesi e in altre aree del Paese, in forza di semplici delibere del CIPE.

Non si tratta di incisi indifferenti o ininfluenti, perchè leggendo questa storia dei fallimenti europei in terre del Sud, riquadrando il nostro focus sulla parola colonia, i riflettori si accendono automaticamente sulla colossale capacità e potenza delle Germania nell’imporre e sagomare le strutture e le politiche dello sviluppo regionale, codificandone le dipendenze o eventualmente modulandone, a piacimento del suo 'imperialismo europeo', la pari dignità.

Per questo, allo stato delle cose, la gestione e la realizzazione delle politiche europee nel Mezzogiorno deve molto preoccupare, ancor di più perchè siamo di fronte al rapido cambiamento degli scenari internazionali e degli stessi assetti interni all'Unione Europea.

Tanto che se dopo il 1989 la Germania ha consapevolmente girato il proprio sguardo, la sua hegeliana testa pensante, non più verso il Sud ma rivolgendola all’Est dell'Europa, appoggiando un allargamento verso ‘land’ proto nazionalistici, con tutte le problematiche che oggi si vedono risorgere sul piano del cosiddetto ‘sovranismo’ e ‘populismo’, persino con il rigurgito di ataviche pulsioni revansciste, razziste e antisemite, adesso scocca l'ora di un generale riequilibrio geografico e politico degli assi territoriali regionali.

Sperando così di ridare un ‘volto umano’ alla controversa e discussa 'identità contemporanea' dell'Unione Europea.