Chi s'aspettava un cambio di passo è stato servito. All'incipit il profilo politico di Zingaretti appare ancora più cauto e sbiadito di quanto abbia figurato nella campagna delle primarie. Nella sostanza una 'restaurazione di velluto', che non farebbe dispiacere al Principe di Salina..La promessa di 'cambiare tutto' stemperata in una vaga sequela di retoriche; motivazionali, stilistiche e programmatiche. Unica cosa citata fra quelle da cambiare lo statuto, ma senza precisare alcunchè in merito.
di Fausto Anderlini
Quanto al programma, se lasciamo perdere il digital divide, la conoscenza, le infrastrutture e la green economy, il minimo sindacale palpabile essendo limitato all'opzione per la sanità pubblica. Con un telos valoriale più sfumato che mai; un partito moderato e compatibilista a vocazione centrista e governante attento alla povertà sociale e disposto al dialogo. Cioè un partito senza missione sociale.
E tuttavia, va detto, un 'partito'. Tutta l'innovazione rispetto alla stagione renziana riguardando infatti il ripristino della 'forma' partito nei suoi connotati elementari: pluralismo e concorsualità, riconoscimento dei corpi intermedi, continuità di cultura politica (comunque non meglio precisata), apertura (gramsciano-morotea) ai 'flussi vitali' nel segno dell'orgoglio e della modestia.
Un partito derenzizzato, insomma. Tornato sobrio senza neanche aver bisogno di ricordare come e perchè si era ubriacato. Ed è qui che s'è visto all'opera il marchio felpato del zingarettismo (e del gentilonismo). Laddove s'era impiantata la retorica (e la pratica) fulminante della 'rottura' e dello 'sbrago', riprende corso l'elogio della 'continuità senza fratture', persino col renzismo messo da parte.
Un Pd derenzizzato in modo dolce senza che nessuno dei punti qualificanti e controversi di quella sciagurata stagione di governo sia stato messo in discussione, neppure l'azzardo della riforma costituzionale. Dove Zingaretti si è peritato di richiamare, a scanso di equivoci non bastassero le dichiarazioni a suo tempo sciorinate da Veltroni, che è l'elettorato ad aver sbagliato. Nella sostanza una felice continuità con tutto quel che è preceduto. Niente da rinnegare, salvo gli eccessi stilistici.
Zingaretti è così apparso nella sua natura intrinseca: quella di un 'curatore' omeopatico della psiche del Pd, piuttosto che di un risanatore catartico delle malformazioni corporee. Per adesso con un discreto successo. Faceva impressione vedere tutta quella gente passata iattante in tutte le ignominie della stagione renziana levarsi in piedi plaudente. Come riverginata a nuova vita, pronta a riproporsi secondo lo stil novo zingarettiano. L'ennesima casacca. E giustamente Martina ha colto lapidariamente il passaggio di fase; "Siamo un partito non una baracca".
Un lavacro con sapone neutro. Il giaguaro è stato smacchiato. I gattopardini.smarriti si sono rimessi in branco.