C’era una volta o c’è ancora la Mafia in Camicia Nera? Nicola Morra Presidente Antimafia nega il connubio Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e neofascismo

3 aprile 2019, 19:17 100inWeb | di Vito Barresi

E Peppino Impastato, Giancarlo Siano, Alceste Campanile, Angelo Vassallo, Peppe Valarioti, Rocco Gatto, Giovanni Losardo, tutti militanti e cittadini democratici trucidati non furono forse vittime non solo del crimine organizzato ma anche del qualunquismo fascistoide delle mafie? Sostiene il Presidente della Commissione Parlamentare Bicamerale antimafia, Senatore Professore Nicola Morra che "nessun Riina o Provenzano, un De Stefano o i Pesce e i Piromalli di Gioia Tauro sono stati mai condannati per questi reati. So bene che sono stati trovati collegamenti tra eversione di destra e mafia, è un fatto indiscutibile." E allora perchè ‘il caso non esiste’, il caso dovrebbe essere immediatamente chiuso?


di Vito Barresi

Se c'è una cosa che fascismo e mafie hanno in comune non è solo la violenza senza scrupoli nell'abbattere ed eliminare gli oppositori alla loro ideologia e ai loro regimi di interesse e potere, ma di odiare e avversare la democrazia, le sue istituzioni, le sue forme di rappresentanza, il diritto di libertà, il principio di giustizia, equità, parità, l'esercizio e le funzioni che garantiscono la legalità e la scelta pacifica, non violenta, partecipativa e non repressiva alla vita pubblica, collettiva, privata e personale.

Come mai questo fatto 'indiscutibile' viene rimosso e cancellato, in men che non si dica, con un gioco sui cosiddetti ‘cumuli’ di reato che somiglia ad altri svaghi, evitando di considerare quali siano e quanto incidano i gradi di separazione che nella storia della Repubblica italiana, legano la Mafia, la 'Ndrangheta, la Camorra, la Sacra Corona Unita, la Santa, con il terrorismo, lo stragismo, l'eversione sia nera che rossa?

Come mai, se solo si pensa ai sequestri di persona, ai rapimenti politici in Campania e altrove, alle stragi che hanno trapuntato di sangue la storia del secondo Novecento, e spesso in un unica soluzione, alla costante minaccia di gruppi neofascisti come i Nar, Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, al rigurgito della destra estrema neonazista, ai numerosi quanto truci tentativi golpisti coltivati e consumati nell'Italia del secondo dopoguerra?

Come si può mettere in dubbio, il potrebbe esserci un connubio eversivo tra mafia,‘Ndrangheta e neofascismi? Per il Presidente antimafia Morra nel passato c’è stato e nel futuro, per il momento, esclusivamente in via ipotetica, anche.

Oggi però non ci sarebbero evidenze, rilevanze in proposito, comunque tali da allarmare gli italiani, allertare lo stato e il suo apparato di controllo, prevenzione e repressione.

Tesi questa evidentemente molto discutibile. Le giustificazione di Morra, per sostenere il diniego di inserire nelle nuove ‘prescrizioni’ per evitare l'inquinamento mafioso nelle liste elettorali, appaiono ‘valorialmente’ deboli, particolarmente ‘significanti’, persino liquidatorie.

Ancor di più perché lo stesso avverte, potrebbero sminuire e in qualche modo offuscare il tracciato e la visibilità di una quantomeno incerta categoria di ‘specifico mafioso’ che, citando molto maldestramente Hannah Arendt, potrebbero sfociare addirittura in una ‘banalizzazione’ della mafia’ stessa (sic!).

In breve posizioni e concetti talmente privi di quel senso contestuale, di quel sentimento repubblicano, costituzionale e, se è permesso dire, antifascista, ove con una certa discutibile fretta, egli liquida come ‘caso chiuso’ la torbida contiguità criminale e gli oscuri patti d'azione, che hanno visto criminosamente convergere in molti capitoli funesti della più vicina storia nazionale la mafia, Cosa Nostra, la Ndrangheta, con il disegno eversivo, sempre attivo, persistente e minaccioso raccolto nell'architrave della strategia della tensione, con un rischio che si deve purtroppo ritenere strutturale nei sistemi democratici, di un potenziale risorgere e riorganizzarsi, utilizzando le leve della delinquenza mafiosa allestita in rete nazionale e transnazionale, della tentazione fascista,neofascista, razzista e dittatoriale.

La memoria resta esemplare monumento e monito per stabilire la rotta sia in tema di tutela, difesa e prevenzione della legalità repubblicana, costituzionale, democratica e antifascista anche in questo campo minato di ‘relazioni pericolose’ nell’antistato del crimine e dell’eversione fascista.

Proprio per questo si vorrebbe qui soltanto di passaggio ricordare a Morra, non fosse altro per il suo vantato background culturale e politico, quei suoi dati curriculari che in realtà lo descrivono molto superficialmente radicato nella storia territoriale della Calabria, sua regione elettiva, a lui che col viso impostato del tosto politico della Nouvelle Vague di populismo in cravatta e d'ordinanza istituzionale, a colui che tra parentesi non perde occasione per per rimarcare quasi in termini di ‘differenza’ la sua nascita a Genova, in qualche modo messa in sbalzo e rialzo medagliato della propria più prosaica e ‘tamarra’ residenza a Cosenza, come negli archivi, tra faldoni e fascicoli di Palazzo San Macuto, oggi sua lussuosa e non più pauperistica residenza, è stata ricomposta la memoria di un intreccio, di un legame, di un collegamento tra ‘ndrangheta e neofascismo, ai tempi della rivolta di Reggio Calabria, più o meno con questa narrazione di un magistrato, guarda caso, non di nome Matteo ma Guido Salvini:

“Il 1970 fu un anno molto difficile per il nostro Paese. Alla fine del 1969 la bomba di Piazza Fontana aveva aperto una stagione di sangue, quella degli Anni di Piombo. Nelle zone del Sud Italia le organizzazioni criminali stavano allargando sempre di più il loro dominio. Nel giugno di quell'anno a Reggio Calabria scoppiò una rivolta di protesta per la decisione di far diventare Catanzaro capoluogo di regione. Furono settimane di intensi scontri, con la città assediata dalla rivolta delle frange estremiste che rivendicavano il diritto di Reggio ad essere capoluogo di regione. Il 22 luglio si verificò una strage nei pressi di Gioia Tauro. Morirono sei persone in conseguenza del deragliamento di un treno, la Freccia del Sud che non fu accidentale ma provocato da una bomba. Fu il culmine di un periodo di sangue in cui a combattere con il Boia chi Molla furono anche i clan della ‘ndrangheta, a loro volta interessati affinchè il capoluogo restasse Reggio Calabria e non Catanzaro. Fu il primo momento in cui frange dell'estremismo di destra e criminalità organizzata di tipo mafioso si allearono come sarebbe accaduto poi altre volte negli anni successivi e come stava per accadere anche alla fine del 1970. Il tentativo di Golpe Borghese che Cosa nostra era pronta ad appoggiare prima che fosse ordinata la ritirata e che tentativo eversivo svanisse. La rivolta durò più di un anno e provocò in tutto otto morti, ai quali aggiungere le sei vittime rimaste uccise sulla ferrovia a Gioia Tauro. Così a distanza di tanti anni resta soprattutto il lutto silenzioso e quasi invisibile di chi perse la vita nella strage della Freccia del Sud. Una vicenda giudiziaria lunga e complessa ormai conclusa che è stato possibile ricostruire soltanto grazie al contributo di alcuni collaboratori di giustizia."

Una storia emblematica che attesta il pericoloso retroterra in cui eversione, neofascismo e mafie si sono alleate, strutturate, coperte, favorite, avvantaggiate, anche grazie alle complicità del sistema politico ed elettorale di quel tempo, come pure ipoteticamente dell’oggi e del futuro.

Forse per Morra, illustre Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il fascismo si è fermato a Ferramonti di Tarsia come Cristo ad Eboli.

Anche se per la storia e per la società contemporanea purtroppo non è così.