Vi ricordate quel 18 aprile? La calata a Reggio Calabria del Governo Conte e l’illusione leghista della barbara conquista del Sud

21 aprile 2019, 19:00 100inWeb | di Vito Barresi

Sarebbe terribile se non fosse buffo, ma in fondo in fondo è anche un poco tragico, quanto accaduto il 18 aprile 2019 in Calabria. Sono venuti da Roma in gran parata per celebrare il nulla davanti ad un indescrivibile deserto economico, sociale, politico, culturale e giudiziario che ha le sembianze di una sontuosa cattedrale mai costruita dallo Stato in terra di Calabria, i vari ministri del Governo Conte a Reggio Calabria, Gioia Tauro e dintorni.


di Vito Barresi

Sia chiaro che non si scrive perché si vuol cercare il Giallo dentro un fatto scolorito, quanto perché in fondo al tunnel ma senza Tav in cui è stato ricacciato il Mezzogiorno, dopo questo primo anno di governo pentastellato (o penta partito?), è forse qui che si trova la sintesi, la chiusa e il suggello, persino il ghigno un po’ satanico, di chi gode all’infinito per la conquista del Sud, qui che si osserva da vicino la conclusione senza trattato né contratto di pace di una lunga guerra di distruzione del Meridione, la guerra leghista dei Trenta Anni, portata finalmente a compimento, da gruppi e partiti sfacciatamente separatisti, anti costituzionali, anti nazionali, anti repubblicani, a cui tutti quelli che comandano hanno deliberatamente dato in omaggio un immenso e persino totalitario strapotere sull’Italia e il suo futuro.

Chiunque domani rivedrà queste scene, la gelida quanto surreale riunione del Consiglio del Presidente Conte (LEGGI), potrà ricomporre il mosaico di una scena, tra spezzoni di interviste, collegamenti audio, riprese video, note ufficiali di agenzia, ricostruire l’arredamento degli atti e gli ingombri di palcoscenico, il contesto e gli angoli di un interno in un gabinetto che sta per conquistare il primato politico di più feroce Governo antimeridionalista mai avuto nella quasi cento settantennale storia unitaria italiana.

In questo vuoto umano in cui è ridotto il Mezzogiorno, il Governo di Salvini e Di Maio, arrivato in luoghi che la Magistratura non ha tema di dipingere a tratti spessi Lande Desolate (LEGGI), fattualmente ha celebrato il de profundis per un Sud ridotto dalla Finanziaria, sia sul piano degli investimenti che dei trasferimenti, al mero livello di una colonia da sfruttare in termini di risorse naturali e minerarie.

Non più che una residuale riserva di manodopera scolarizzata, testa di ponte nella nuova geopolitica del ricatto sovranista, a partire dal soffocamento dei porti, verso un’Europa che teme l’invasione migratoria dall’Africa, ma che pure ha bisogno del commercio sommerso mediterraneo, degli spazi di libero scambio free tax, fatto di percorsi e riciclaggi fuori rotta, viaggi clandestini di uomini, donne, bambini e merci, traffici illeciti di politica africana e levantina, droga, armi, trade clandestino e illecito, pedaggi di corruzione e quant’altro, un laissez faire particolarmente gradito da cartelli paralegali di crimine e intelligence che hanno non da adesso rimpiazzato la ‘ndrangheta e Cosa Nostra nei modelli di crimine transnazionale.

Se solo il Presidente Conte avesse focalizzato il rischio che il Sud finisca preda e vittima di questo gioco impressionante e perverso, in cui recitano più attori e forze che intendono ridurre questa geografia a mappa dell’illecito transnazionale, punto di congiunzione e hub delle piccole potenze che crescono dall’altra parte del Mediterraneo greco, turco, israeliano, libanese, siriano, egiziano, ecc., se solo avesse detto che le sole azioni per difendere e salvare l’Italia sono dentro un progetto di una grande, nuova e lungimirante politica mediterranea, forse sarebbe bastato, forse non ci saremmo ulteriormente sentiti disorientati e delusi.

Bisogna realisticamente constatare che questa visione purtroppo non esiste né nella mente, né nelle scelte di questo piccolo governo cucito ad arte sulle angustie di certo leghismo e avido campanilismo settentrionale.

Dopo il Consiglio di Reggio Calabria, ancor di più il Sud è stato abbandonato a se stesso, non solo ad affrontare una recessione economica che ha lo spietato aspetto di un ‘default’ di stampo ellenico, quanto condannato a fare da spettatore impotente di fronte alla rovine di un porto ormai alla deriva come quello di Gioia Tauro, azzannato dalla ‘ndrangheta, pervaso dalla corruzione e dalla brama simoniaca di una nefasta ‘ndrina che aggrega affaristi, pezzi dello Stato e apparati deviati, impegnati a far da sponda e spettatori di quel che sta accadendo nel Mediterraneo, tra la Libia, la Siria e la Turchia.

Ripassare alla moviola, scomporre nella sala di montaggio questa cronaca politica e questa storia 'evenemenziale', magari senza ingiallire o virare seppia le immagini del Governo Conte a Reggio, ci aiuta a capire il suono di una stonata retorica.

Forse l'estremo, flebile sussurro di uno Stato Unitario dilaniato da forze disgregatrici, rapidamente passate per avido opportunismo dalla secessione al sovranismo, rivedendo senza illusioni il macroscopico distacco del Sud dal resto del Paese e dall’Europa.