Possente, ferma, risoluta, limpida, autorevole, solo apparentemente senza nessuna incrinatura emotiva, fu la voce di Sandro Pertini ai microfoni di Radio Milano. Adombrata nel senso del dovere, nella lotta tenace per la libertà, c’era nell’animo del Presidente più amato dagli italiani nella storia della Repubblica, il fitto dolore sovrapposto alla gioia della Liberazione Nazionale. Lo stesso giorno in cui l’Italia festeggiava la ritrovata e tanto agognata libertà era stato ingiustamente trucidato il suo diletto e devoto fratello Eugenio Pertini, crudelmente ucciso dalle SS il 25 aprile del 1945 nel campo di sterminio di Flossemburg. Eugenio era entrato nella Resistenza per prendere il posto di Sandro, nel giorno stesso in cui si diffuse la notizia della fucilazione del capo socialista dopo quasi vent’anni di prigionia e di confino.
di Vito Barresi
Pertini conobbe i dettagli della terribile sorte toccata ad Eugenio, probabilmente, mentre si recava negli studi di Radio Milano, dai cui microfoni tenne un discorso ai milanesi il 27 aprile 1945, all'indomani della Liberazione del capoluogo lombardo.
Fu qui che pronunciò parole implacabili, con cui invocò la sentenza senza appello contro il più grande traditore della Patria e degli italiani, il dittatore fascista, Benito Mussolini:
“Lavoratori, il fascismo è caduto. I componenti di questa associazione a delinquere, fino a ieri feroci, perché si appoggiavano alla brutale forza nazista, questa forza crollata, sono fuggiti appena l'insurrezione popolare è esplosa. Il capo di questa associazione a delinquere, Mussolini, mentre giallo di livore e di paura tentava di varcare la frontiera svizzera, è stato arrestato. Egli dovrà essere consegnato ad un tribunale del popolo, perché lo giudichi per direttissima. E per tutte le vittime del fascismo e per il popolo italiano dal fascismo gettato in tanta rovina, egli dovrà e sarà giustiziato. Questo noi vogliamo, nonostante che pensiamo che per questo uomo il plotone di esecuzione sia troppo onore. Egli meriterebbe di essere ucciso come un cane tignoso.”
Così avvenne a Piazzale Loreto senza appello e senza alcun rimpianto per la fine del truce dittatore e del gruppo che lo accompagnava e lo scortava nella fatale ed ultima fuga.
Ma già il 25 aprile del 1947, erano trascorsi appena due anni dopo la caduta del Fascismo e dalla Liberazione del Paese, con la sua proverbiale schiettezza e con prosa di giornalismo politico di alta classe, diretta e asciutta, un Pertini alquanto angustiato e urtato per quanto andava accadendo in certi ambienti della comunicazione e della politica, ove si fomentava il virus del qualunquismo e dell’afascismo, in un articolo pubblicato con il titolo "La lotta continua", apparso sull'edizione milanese dell'Avanti, analizzava il motivo perché
"non solo gli Alleati avessero dimenticato le promesse fatte a suo tempo al popolo italiano nel corso della lotta di resistenza al nemico nazifascita' ma anche gli altri, e tra questi gli alcuni stessi connazionali, avessero rimosso e scordato quelle giornate in cui Milano insorse sotto la guida del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e del Comando generale del Cvl, constatando con amarezza e rammarico che quel giorno "sembra ormai quasi appartenente alla leggenda ciò che invece è storia di ieri".
Il suo stato d'animo restava però pieno di ammirazione nel riassumere in una parola le sue impressioni sul popolo di Milano e in genere sui combattimenti del Nord, sensazioni tali da fargli profferire: Magnifici.
Le tappe della insurrezione che portò al 25 Aprile rivivono vivide e sintetiche negli articoli e nei comizi di Pertini, opportunamente raccolti in due volumi, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, pubblicati con il titolo Scritti e Discorsi di Sandro Pertini, sotto la direzione scientifica della Fondazione di Studi Storici ‘Filippo Turati’ .
L’avvisaglia si ebbe il 23 aprile con lo sciopero dei ferrovieri. La mattina del 24 aprile a Milano si percepiva quasi fisicamente l'imminenza della decisione.
Il comitato apprese che il Consiglio dei ministri della Repubblica di Salò aveva deciso di tagliare la corda, lanciando per il 25 l'ordine dell'insurrezione: manifestare per le strade, le fabbriche, in città le formazioni militari.
Tre quarti d'ora dopo, raccontava il Presidente, con un lampo d'orgoglio negli occhi, i compagni erano per la strada e cominciando la caccia ai primi fascisti e l'assalto alle prime caserme. La resistenza fascista fu molto forte le prime 24 ore, rapidamente declinando per esaurirsi il quinto giorno.
Sul capitolo delle rappresaglie Pertini fu parco di dettagli.
“È la ruota che gira. Mussolini venne arrestato il 27 e fucilato l'indomani presso Dongo. Si comportò come un vigliacco, senza un gesto, senza una parola di fierezza. Presentendo l'insurrezione si era rivolto al cardinale arcivescovo di Milano chiedendo di potersi ritirare in Valtellina con tremila dei suoi. Ai partigiani che lo arrestarono offrì un impero che non aveva. Ancora all'ultimo momento piativa di aver salva la vita per parlare alla radio e denunciare Hitler che, a suo parere lo aveva tradito nove volte. Sandro ebbe parole di rispetto per Ricci e Mischi che seppero almeno suicidarsi. Farinacci offrì un milione per essere lasciato libero. Starace, condotto sul luogo ove erano i cadaveri di Mussolini e della Petacci per poco non svenne. Il generale Graziani si lanciò letteralmente fra le braccia degli americani, gemendo: Salvatemi!”
Il fascismo era caduto, ma lasciava sul suo cammino sangue, miseria, rovine.