Giuseppe Sircana e “La Festa Ribelle” tra canti e racconti, storia e memorie del Primo Maggio

30 aprile 2019, 12:45 100inWeb | di Vito Barresi

Giorno di ricordi, album con immagini virato seppia ma anche smaglianti opere ricche di sfumature e pittorici colori da tavolozze e affreschi, perchè in fondo questa ricorrenza se è Pellizza da Volpedo è anche l’elegante, sensualissimo e vigoroso ballo campestre di Renoir, una carrellata di figure mitologiche e cartoline d’epoca, filmati d’archivio manifesti e affiches, canti e ballate, racconti e romanzi, liriche e poesie, questa l’immensa letteratura del mondo operaio del passato, un viaggio tra i film d’antologia come Novecento di Bernardo Bertolucci fino ai più recenti di David Linch.


di Vito Barresi

Anno dopo anno si rinnova e torna il Primo Maggio, fresco, primaverile e intonso, pagina per pagina, come un gigantesco, ciclopico feulleiton, una narrazione eroica di fatica e industria, muscoli e motori, umanità e tecnologie, solidarietà e conflitto, che unisce e identifica i movimenti sindacali a livello internazionale. Festa dei lavoratori, “La Festa Ribelle” Storia e Storie del Primo Maggio è il titolo di un agile e fruibile volume scritto da Giuseppe Sircana per l’editrice Ediesse, un vero libro di ‘classe’ che si colloca armonicamente nella straordinaria e sempre avvincente biblioteca del movimento sindacale, operaio e contadino italiano, europeo e mondiale.

Festa internazionale del lavoro che ininterrottamente, salvo le cupe sospensioni imposte dai totalitarismi e dai regimi fascisti e nazisti, viene celebrata fin dal 1890, da ormai centotrenta anni.

La decisione di porre al centro di questa giornata di inizio Maggio i temi del lavoro e dell'orario, la durata non breve di fatica e attenzione che veniva imposta dai padroni delle fabbriche e dai proprietari dei campi agricoli ai lavoratori sfruttati, fu presa dal Congresso della Seconda Internazionale Socialista a Parigi, riunito dal 14 al 21 luglio del 1889.

A ripensarlo nella prospettiva tecnologizzata che domina la vita postmoderna, il tema dell'orario di lavoro resta un punto strategico nell’organizzazione umana dei sistemi sociali contemporanei, vale a dire una questione dirimente nel gioco del dominio e della subordinazione, un valore sempre più ‘sindacalmente’ negoziabile, tanto da far riflettere dialetticamente e a ragione sulla non occasionale ‘battuta’ di Friedrich Engels, quando in quell’assise ebbe a ricordare che Marx, di fronte a questa permanente e strutturale priorità del tempo e dell’orario, vero e proprio orologio del lavoro che scandisce le ore della storia e del mondo, ne sarebbe stato ben soddisfatto, persino lusingato e felice.

Non fosse altro perché la giornata lavorativa di otto ore, con la connessa richiesta di non gravare le donne i fanciulli di ulteriori, pesanti ed estenuanti compiti, metteva in evidenza non solo il rapporto fra tempo e lavoro ma intrinsecamente e espressivamente la relazione che intercorre e lega tra loro merce e denaro, e con essa la questione del conflitto di classe tra capitale e lavoro, l’obiettivo del superamento di una logica contrattualistica che riduce a mero valore di scambio l'umanità dei lavoratori e la dignità degli operai.

Problemi che nell’arco di un secolo sono via via diventati non solo bandiera del socialismo ma patrimonio comune del sindacato, diritto universale dei lavoratori, percorso dell’evoluzione del progresso economico e sociale, ancor più in un’epoca in cui l’infernale macchinismo industriale, ben analizzato da Karl Polany nei suoi studi di storia e antropologia economica, si è espanso e dilatato oltre i muri e i confini degli antichi opifici della prima Rivoluzione Industriale, invadendo, in quanto inappellabile comando tecnologico personalizzato, ogni spazio e ogni ambito della vita sociale, nel lavoro e nello svago, nella vita pubblica e in quella privata.

Tutto fino a trasformare il contesto in cui viviamo in un falansterio unico in cui vige la regola del controllo e dell'alienazione, una spietata sorveglianza che invade persino la psicosfera individuale, subendo tutti gli effetti distorti di un processo di globalizzazione che impone il primato dell'economia.

D'altra parte come osservava sir Eric Hobsbawm, il Primo Maggio è di suo una sintesi enciclopedica di quella storia intesa come prevalere umano sulla natura, avvenuto attraverso il lavoro, una pratica vitale che può vantare il suo primato di fabbricatore, produttore, creatore delle soluzioni tecniche più avanzate e innovative, che promanano talvolta fortuitamente dalla genialità operativa manifatturiera e costruttiva.

In fondo poi è proprio questo il filo, l’orientamento che guida il libro di Sircana, in cui spicca un principio superiore dal senso del racconto storico, che poi bisognerebbe ridare a questa festività che fa corrispondere economia e umanità attraverso l’esperienza socializzante e relazionale del lavoro.

Sta qui la forza trascendentale della celebrazione del Primo Maggio che pone inappellabilmente il lavoro in testa e al centro di ogni soluzione sociale, politica, economica, aziendale e culturale, sottolineando opportunamente che solo se si recupera la centralità del valore lavoro, si potranno rileggere momenti e situazioni che suscitano, oltre la delicata nostalgia di singoli momenti e personaggi, anche l'impegno e la rimotivazione a una lotta per sconfiggere l'umiliazione della disoccupazione, dei licenziamenti quasi sempre unilaterali e ingiusti, e dello sfruttamento ancora imperanti in tante regioni del pianeta, compreso il nostro Paese.

Primo Maggio data scelta per non dimenticare i cinque martiri delle otto ore, che vennero impiccati a Chicago dopo le proteste operaie che si svolsero in quella città americana nel 1886.

In Italia la storia del Primo Maggio è una trapunta di avvenimenti in cui si raccolgono i sentimenti di un mondo operaio variegato, lo stesso che era ‘continuatore’ delle coorti e delle gilde artigianali comunali e della vasta plebe rurale, costretta in condizioni di semi schiavitù nelle campagne padane, nella mezzadria toscana, tra il caporalato pugliese, in quelle vaste e latifondistiche terre del Mezzogiorno bracciantile.

Ricordi e memorie, per cui ‘storia e storie’, del Primo Maggio sono da sempre collocati sul palcoscenico sontuoso delle più belle piazze storiche nazionali, le quinte eleganti e meravigliose delle città del Nord, la fiumana dei lavoratori che usciva dagli opifici oggi scomparsi, distrutti e dimenticati dalla modernizzazione, in qualche caso divenuti pezzi ed emblema di una archeologia industriale, citazione di un paesaggio morale dove, come poeticamente rimembra il verso di Roberto Roversi, “il cammino è incominciato quando una voce ha risposto a una voce, quando una voce ha gridato fratello ed è arrivato un fratello, quando ha chiamato compagno, compagna, e una piazza si è riempita di gente.”

Più forte si avvertirà l’esigenza di salvaguardare diritti e coscienza collettiva, rileggendo il cammino sofferto verso l’unità sindacale, prima spezzata e poi riconquistata nel 1971 con il ripristino di un solo Primo Maggio unitario sotto le bandiere di Cgil Cisl Uil, laddove non si spegnerà il sogno di fraternità dipinto nel sofferente e doloroso affresco dei contadini e dei braccianti siciliani che, nella Piana degli Albanesi, furono trucidati durante l'orrenda strage di Portella delle Ginestre.

Breviario di storia italiana con il suo libro ‘La Feste Ribelle’, Giuseppe Sircana, conclusivamente, fa bene a segnalare alle nuove generazioni che, ieri come oggi, il futuro della Patria e dell’Europa resta, se si vuole, ancora saldamente nelle mani dei lavoratori.