Nicodemo Gentile l’avvocato che non ha paura di scendere ‘Nella Terra del Niente’ feroce abisso degli ‘scomparsi vivi’

9 maggio 2019, 17:00 100inWeb | di Vito Barresi

Nella Terra del Niente, Storie di Scomparse, Storie di Famiglie, è il nuovo libro scritto dall'avvocato Nicodemo Gentile, pubblicato da Faust Edizioni nella collana di criminologia "Reato di Lettura". Undici racconti che già dai loro immaginifici titoli, eloquentemente narrativi (La Terra del Niente, Per un Pugno di Pesce, Il Ri-Scomparso, L'Ultima Passeggiata, La Signora delle Marmellate, Gli Occhi non Scompaiono, Il Solito Incontro Occasionale nel Bosco, Cade la Neve, Ombre sulla Canonica, I Cormorani del Lago, Volti in Cerca di Storia), tratteggiano e ricostruiscono a mosaico la complessa, difficile e delicatissima condizione di 'smarrimento' umano di quanti subiscono l’atroce e improvvisa scomparsa, apparentemente a-causale, di un loro o di una loro congiunta. Gentile si fa parte attiva nel raccoglierne i sentimenti, i turbamenti e la disperazione che spesso sfocia nella dimessa e sconsolata espressione di un pianto dirotto, voce di un dramma socio-psicologico che disintegra un pacifico insieme familiare, un contesto privato letteralmente sventrato dalla sbrigatività della legge in azione e dalla bulimia nevrotica di grandi media e piccoli social.


di Vito Barresi

Persone scomparse che entrano d'impatto nel casellario dei casi giudiziari aperti e mai chiusi se non alla fine di un lunghissimo percorso che spesso ne disvela il tragico omicidio o per chi resta e resiste resiliente, l'infinita condanna a un attesa vissuta tra rimpianti e rimorsi.

Al centro di queste vere e proprie 'short tales', selezionate accortamente e narrate con voce sobria ma decisa, pure intensamente e 'liricamente' convissute e 'compatite' con gli attori di tante amare vicende di cronaca nera, c'è la scrittura di assoluta e sorprendente intelligenza forense di Nicodemo Gentile, in cui l’autore profonde tutta la forza e la convinzione di una cultura del diritto esercitata dalla parte dell'avvocatura, esempio di difesa a tutto tondo, che mai riposa ne si adagia sugli allori di qualche facile o fortuita prima vittoria processuale.

Neanche quando lo sguardo del difensore, l'attenzione del legale di parte, sembrano acquietarsi su tavolozze di paesaggio aperto, affreschi di luminose campagne toscane, disegni di pievi e campanili di una civiltà italiana ed europea, qui, evidentemente, travolta, sommossa, deformata e disorientata da una trasformazione dei costumi e della morale che in questo iniziale ventennio del Duemila svela costantemente a brandelli infernali, scene di un baratro indeterminabile, di un suo stesso inconfessabile profondo.

Storie di gente normale mai perdute per caso, mai scomparse senza un vento che li trascinasse via come fragili foglie di un albero solitario, uomini, donne, anziani, bambine ragazze, scosse da mano ignote e criminali che ne deragliano con violenza un destino altrimenti prefigurato.

Vicende convulse e inquiete che qui si leggono affrontandole con un solo respiro, nell'apnea intensa e palpitante di un 'romanzo' che compiega e rilega tanti singoli fascicoli di svariati processi in un atto unico, un solido ‘story telling’ sempre svolto e agito sullo sfondo di un comune quadro unitario.

Proprio in taluni di questi più solari e 'luminosi' bozzetti, quasi evocativi d'arte pittorica paesaggistica piuttosto ottocentesca che medievale, chiodi conficcati alla parete triste di buio e oscurità, l'avvocato è posto al mezzo di un dissidio che si manifesta in una radicale divaricazione tra il 'sentire' il caso criminale, persino il ‘cold case’, nei termini imposti dai sentimenti dei familiari delle vittime, nella loro incontenibile ansia intrecciata all'estrema speranza di un’attesa, miracolosa 'ri-comparsa', e il 'vedere' l’identico fatto nella prospettiva dell'oggettività di un crimine comune, che fin dal suo primo imporsi si presenta subdolamente inestricabile.

Storie di vita infrante, travolte da improvvise e nel loro insieme addirittura seriali scomparse, ritratte a scatto oltre che sullo 'screen' zoomato di una telecamera televisiva, anche nello spessore di un segmento sociale e culturale tanto debordante di motivazioni, non detti, aporie linguistiche, memorie rimosse e mescolate, da fornire agli inquirenti, in primis all'avvocato che può svolgere secondo le prassi e le metodologie a lui consentite dalla legge la propria inchiesta, un sensibile e copioso giacimento di indizi.

Gli stessi che spesso non trovano adeguato deposito nella stessa griglia impaginata dei modelli pre-compilati, in uso presso le stazioni dei Carabinieri, o altrimenti e in breve, un tutto magmatico che si muove, si blocca, si ferma su immagini sfuse, scoordinate e scomposte, ma che pure segue una propria logica fattuale, contro fattuale e processuale.

Da qui l’autore lascia trasparire la trama più fitta di un perverso fenomeno delinquenziale che, al di là delle sue psicologiche irregolarità, incombe come un rischio sociale e nazionale, minando di volta in volta, di straripare tragicamente sulle prime pagine dei giornali, nelle aperture dei principali telegiornali, nei titoli delle più importanti testate on line, come un vero e proprio fatto sociologico criminale, con le sue permanenze e inquietanti invarianze.

Ecco perché le micro indagini dell'avvocato Gentile diventano un sopralluogo minuzioso dentro il surreale ambiente di vuoti appartamenti, industrie di affetti abbandonati, interni della desolazione, a volte soltanto arredati da un consunto cavo di una vecchia lampadina Osram che pencola ammonitrice da un solaio, dove non si fa il verso né si porge il microfono ad un'anatomia dell'ossessione bensì si struttura la giuridica e positiva opposizione al ‘cupio dissolvi’ di un falso e strumentale fatalismo, che tutto vorrebbe sospingere sul baratro, il ciglio di un burrone dove scompaiono e si dissolvono sia il diritto che le regole morali.

In questo senso, penso che ‘Nella Terra del Niente’ scritto con passione da Nicodemo Gentile, sia un libro scomodo e avvincente, qualcosa di più di un semplice romanzo bensì uno studio scientifico di diritto penale, messo in prosa ‘civile’ ed ordinaria nel diario di un viaggio in contrade disseminate da mucchi di pietre taglienti, tra zeoliti di amarezza e muri di cemento con ferro spino, un percorso ad ostacoli irto di chiodi arrugginiti e braci ancora ardenti, dove non sorprende che, crudelmente, si alzino ipotesi lesive, fumus e mendacio che annichiliscono i familiari e i congiunti, distruggendoli nella loro motivazionalità reattiva, azzerandone l'autostima, determinando una rabbia nevrotica e convulsa che allarga a dismisura gli effetti devastanti del crimine impunito.