Mentre Trump aumenta le tariffe commerciali e i dazi nei confronti della Cina il porto di Gioia continua ad affondare nel gorgo delle sue stesse sabbie mobili. Dovrebbe essere il contrario, invece per colpa di determinati gruppi di potere che comandano tra Roma, la Svizzera e la Regione Calabria, il Porto della Piana resta una Cattedrale nel Deserto persino scansata dal Governo Conte che ha siglato scellerati accordi con i cinesi a solo vantaggio del Porto di Genova e di Trieste.
di Vito Barresi
Scrive il New York Times che la decisione di Trump di imporre il 25% delle tariffe su quasi un terzo di tutti i prodotti cinesi è la più grande azione commerciale che questo presidente degli Stati Uniti abbia intrapreso finora.
L'imposta più elevata colpisce molti prodotti di consumo che gli americani acquistano da Pechino, come frutti di mare, bagagli ed elettronica, cose che influiranno sull’aumento dei prezzi per le società d’oltre oceano e per i loro clienti in un’ampia porzione di settori economici e commerciali.
Di questo si poteva forse parlare anche in Calabria, lo si doveva fare specialmente a Gioia Tauro. Ma la storia, evidentemente, è stata un’altra. E con la scusa del solito lupo nero, che qui hanno voluto chiamare ’ndrangheta per coprire altri loschi patti affaristici, non tutti i calabresi conoscono realmente come sono andati e come vanno i fatti che riguardano questo, apparentemente, ‘inutile’ porto italiano.
Tutto questo perché la ‘cricca’ che ha nelle mani questa gigantesca infrastruttura europea non ha ancora deciso a chi vendere a buon prezzo il volano della vita politica, istituzionale, imprenditoriale, commerciale, giudiziaria e criminale della Regione Calabria.
Per capire realmente quali sono gli interessi in campo, quale sia l'influenza monopolistica e dominante di Gioia Tauro nella vita pubblica e politica regionale, bisognerà, per così dire, aprire la sua ‘scatola nera’, esaminarne le voci, le pesature e i soggetti che sono in essa rappresentati, che sono non solo calabresi ma anche italiani, europei e mondiali.
Andreotti e la prima pietra:
la firma di una patto scellerato
tra lo Stato e i poteri forti
Cn24, che è una testata giornalistica indipendente, è intenzionata a scandagliare i tracciati di questa ‘scatola nera’ in cui si nascondono tutti i misfatti e i delitti della storia politica regionale calabrese, fin dalla giorno in cui proprio Giulio Andreotti poneva sulla bella e devastata riviera tirrenica la famigerata ‘prima pietra’.
Quella ‘prima pietra’ fu la firma di un ‘patto scellerato’ tra lo Stato e i poteri forti allora in auge nella Regione Calabria, a partire dalla politica, dalla corrente andreottiana della Democrazia Cristiana, dall’informazione di stato (leggasi TGr Cosenza), dal giornalismo e dai giornalisti prezzolati (Ordine Professionale, nuove testate che venivano stampate e sfornate come volantini al ciclostile, giornalisti di regime democristiano e 'comunista' incrociati con i Servizi Segreti, cronisti di nera intricati nelle vicende poliziesche delle guerra di mafia, dei sequestri di persona, ecc. ), imprenditori assistiti,appaltatori di Casse del Mezzogiorno, banchieri della Carical, sindacalisti della triplice, giudici singoli e pezzi interi della magistratura calabrese devastata dalla bramosia di denari, dalla concupiscenza dei sensi, ecc., e ovviamente, but not least, dai poteri criminali 'straccioni' e impresentabili che puzzavano di capra aspromontana, i rappresentanti dalle cosche della ‘ndrangheta della Piana, in accordo con la cupola reggina.
Per adesso penso che occorra sottolineare almeno tre punti:
1) Gioia Tauro con il suo fallimento, o al contrario il suo rilancio, è il paradigma, l’architrave autentico del destino della Calabria attuale, e in questo quadro si deve leggere la stessa politica con la permanenza al potere dei vecchi marpioni tipo Mario Oliverio o l’avvento dei finti nuovisti tipo il Presidente della Commissione Parlamentare Nicola Morra (e chi gli sta dietro…), ipotizzando che se fallisce il Porto cade il solaio, se non volete chiamarla Cupola, della politica regionale sia vecchia che nuova;
2) Gioia Tauro essendo l’interfaccia tra legalità nazionale e crimine transnazionale, l’hub di collegamento tra ‘interessi dello stato’ e manovalanza criminale locale, è anche l’archivio misterioso dei tanti dossier che sono nelle mani sia dell’autorità della Sicurezza Nazionale che della Magistratura Calabrese.
Dossier che vanno dai sequestri di persona fino ai traffici internazionali della droga e allo “stoccaggio” in Calabria di ampie partite di “roba” destinata al mercato delle grandi metropoli italiane ed europee.
Proprio sul controllo, la gestione e il flusso dei dati di questa immensa mole di ‘informazioni globali’ si gioca il confronto e lo scambio tra vari poteri dello Stato e la Magistratura, sia a Roma che in Calabria, e oggi, il futuro del ‘comando’ sui due porti scelti come terminali ‘europei’ e italiani sulla via della seta, in diretto collegamento con la Cina.
3) Gioia Tauro è un luogo simbolo che ha bisogno di verità e trasparenza, verità e trasparenza che se non può venire dal Parlamento italiano, che bene farebbe a realizzare un inchiesta parlamentare sul caso, dovrà essere richiesta al Parlamento Europeo che sta per formarsi, invocando la formazione di una specifica commissione di indagine indipendente.
Misteri e verità possono venire a galla dalle acque del ‘porto morto’ di Gioia Tauro solo se tutti i calabresi cominceranno a richiedere un report al nuovo Parlamento Europeo, divenendo finalmente informati e consapevoli sul gioco delle due scatole, una bianca e una nera in cui lo sviluppo della Calabria è stato tradito sigillato e tombato: quella infrastrutturale che ha sede in un determinato territorio e si configura fisicamente nelle banchine portuali, l’altra ‘immateriale’ e doganale che praticamente è il cuore economico vero di tutto il business commerciale, del flusso e delle transazioni di denaro affaristico sempre fresco come il pesce di Corigliano Calabro o di Crotone.
Ma di questo scriverò in avanti.