Animali e piante in pericolo. Il globo non è più un posto sicuro per le specie animali e vegetali. Secondo i 145 ricercatori provenienti da 50 paesi, affiancati da altri 310 collaboratori della commissione Onu, circa un milione di specie è a rischio estinzione.
di Enrica Tancioni
Lo conferma Rapporto Ipbes, la piattaforma intergovernativa per la scienza e la politica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, nelle cui 1800 pagine il responsabile di questo futuro apocalittico è uno solo: l’uomo.
Se infatti l’umanità dovesse continuare a cercare il profitto a discapito di animali, ambiente e piante, si rischia di percorrere una strada a senso unico che porterà all’estinzione di animali e piante.
I ricercatori hanno preso come punto di partenza lo status del mondo animale e vegetale di 50 anni fa e facendo una semplice comparazione con lo stato attuale sono riusciti a ricavare un quadro completo dello sviluppo economico e dell’impatto sulla natura. Lo studio ha quindi creato gli scenari possibili dei prossimi decenni.
Il Rapporto Ipbes rileva che circa 1 milione di specie animali e vegetali sono minacciate di estinzione, molte entro qualche decennio.
L’abbondanza media di specie autoctone nella maggior parte degli habitat terrestri è diminuita di almeno il 20%, soprattutto dal 1900. È minacciato più del 40% delle specie di anfibi, quasi il 33% dei coralli e più di un terzo di tutti i mammiferi marini.
’immagine è meno chiara per le specie di insetti, ma le prove disponibili supportano una stima provvisoria del 10% sottoposto a minaccia di estinzione.
Almeno 680 specie di vertebrati sono state portate all’estinzione dal 16° secolo e più del 9% di tutte le razze di mammiferi domestici utilizzate per il cibo e l’agricoltura si sono estinte entro il 2016, con almeno 1.000 altre razze ancora minacciate.
L’uomo ha infatti sfruttato gli ecosistemi arrivando ad erodere mezzi di sussistenza, sicurezza alimentare, salute e qualità della vita in tutto il mondo.
Sono cinque i fattori diretti responsabili del cambiamento in natura con il maggiore impatto globale: (1) cambiamenti nell’uso della terra e del mare; (2) sfruttamento diretto degli organismi; (3) cambiamenti climatici; (4) inquinamento e (5) specie esotiche invasive.
Dal 1980, le emissioni di gas serra sono raddoppiate, così da far salire le temperature medie di almeno 0,7 gradi Celsius.
A poco sono serviti i progressi compiuti per implementare le politiche di tutela, perché per il rapporto, gli obiettivi globali per conservare e utilizzare in modo sostenibile la natura e raggiungere la sostenibilità non possono essere soddisfatti attraverso gli accordi attuali al 2030.
Questo potrebbe accadesse se e solo se si decidesse di puntare su cambiamenti forti in ambito economico, sociale, politico e tecnologico.
Secondo la relazione l’uomo è riuscito a modificare per i propri scopi tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% dell’ambiente marino.
Come? Pensate ai campi per la produzione di colture e al bestiame, per l’Onu più di un terzo della superficie terrestre del mondo e quasi il 75% delle risorse di acqua dolce sono ora destinate alla produzione di colture o bestiame.
Coltura intensiva che ha finito per fare aumentare vertiginosamente il valore della produzione agricola arrivato al 300% dal 1970. Aumento anche per il raccolto di legname grezzo arrivato al 45% e circa 60 miliardi di tonnellate di risorse rinnovabili e non rinnovabili sono ora estratte a livello globale ogni anno – quasi il doppio dal 1980.
Questo per i ricercatori ha finito per fare aumentare il degrado del suolo, tanto da ridurre la produttività del 23% della superficie terrestre globale, fino a 577 miliardi di dollari in colture globali annuali sono a rischio di perdita degli impollinatori.
Rischi anche per le persone, si ipotizza infatti che c 100-300 milioni di persone siano a maggior rischio di inondazioni e uragani a causa della perdita di habitat costieri e protezione.
A questo si aggiunge lo sfruttamento del settore ittico. Nel 2015 il 33% degli stock ittici marini è stato raccolto a livelli insostenibili; mentre il 60% è stato pescato in modo massimamente sostenibile, con appena il 7% di raccolti a livelli inferiori rispetto a quelli che possono essere pescati in modo sostenibile.
La terra soffre dunque, anche a causa del raddoppio delle aree urbane. Aumento che ha finito per far crescere l’inquinamento plastico di almeno dieci punti rispetto al 1980.
A ciò si aggiungono i 300-400 milioni di tonnellate di metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e altri rifiuti da impianti industriali che vengono buttati ogni anno nelle acque del mondo, mentre i fertilizzanti finiscono per entrare negli ecosistemi costieri, tanto da produrre più di 400 “zone morte” oceaniche, per un totale di oltre 245.000 km2 (591-595) – un’area combinata superiore a quella del Regno Unito.
Tuttavia non è troppo tardi, per il rapporto è necessario iniziare a lavorare su tutti i livelli, dal locale al globale. Attraverso il 'cambiamento trasformativo', la natura può ancora essere conservata, ripristinata e utilizzata in modo sostenibile - questa è anche la chiave per soddisfare la maggior parte degli altri obiettivi globali.
Questo con la riorganizzazione a livello di sistema tra fattori tecnologici, economici e sociali, inclusi paradigmi, obiettivi e valori.