Nelle Considerazioni finali del Governatore di Banca d'Italia, Ignazio Visco, contenute nella Relazione annuale 2018, c'è un passaggio importante e decisivo che riguarda il Mezzogiorno d'Italia, la condizione economica di grande ed enorme difficoltà in cui versa attualmente, le prospettive che si dovrebbero dischiudere immediatamente per dare forza al progetto di rilancio e ripresa dell'economia nazionale, individuando nuovi programmi e strategia per dare slancio al nuovo ruolo di centralità mediterranea in cui si trova il Sud nello scacchiere della geopolitica europea.
di Vito Barresi
Molto responsabilmente il Governatore, a pochi giorni dalla Festa della Repubblica torna ad accendere i riflettori spenti da certo 'sovranismo' sulla gravissima frattura tra il Nord e il Sud, gettando uno sguardo oltre le depistanti e false priorità imposte dall'agenda 'populista' che nella loro insistente e perniciosa azione propagandistica ed elettoralista hanno oscurato la specificità nazionale ed europea della 'questione meridionale', laddove avverte che:
"nel Mezzogiorno vive circa un terzo della popolazione italiana e si produce quasi un quarto del PIL. Le regioni meridionali stanno subendo un ulteriore impoverimento per l’emigrazione delle loro risorse più giovani e preparate, in massima parte verso il Centro Nord del Paese. Negli ultimi dieci anni il saldo migratorio complessivo è stato leggermente positivo, ma si è osservato un sensibile deflusso netto di giovani laureati. È una tendenza che comporta costi sociali immediati e che condiziona negativamente le prospettive di sviluppo."
Nel delineare e analizzate sia i fattori limitanti che le molteplici potenzialità che da un lato frenato e dall'altro propongono al Paese intero nuovi, più avanzati e ambiziosi livelli di crescita nel quadro interno ed europeo, il Governatore ha confermato che la tara secolare del divario tra le due grandi aree geografiche italiane, rischio di configurarsi in uno spaventoso e più impressionante dualismo tra Nord e Sud:
"Le difficoltà italiane sono amplificate nel Mezzogiorno, che ha risentito della doppia recessione più del resto del Paese. Nelle regioni meridionali deve innanzitutto migliorare l’ambiente in cui le imprese svolgono la propriaattività, in primo luogo con riferimento alla tutela della legalità. È più ampio il ritardo tecnologico da colmare: la quota del valore aggiunto riferibile all’economia digitale, prossima al 2,5 per cento, è inferiore di oltre tre puntia quella del Centro Nord. Va ridotto il deficit di competenze, accresciuta l’efficacia delle politiche pubbliche, migliorata la qualità delle amministrazioni e delle infrastrutture: il 70 per cento delle “opere incompiute” è localizzato in queste regioni, alle quali fa capo solo il 30 per cento dei lavori pubblici."
Dualismo, disparita, mancanza di un "Piano Euro Mediterraneo per il Mezzogiorno", e non altre cicliche rilevanze emergenziali, costituiscono la contraddizione strutturale che condanna l'Italia, ancora una volta, ad arrancare di fronte allo scenario della crisi economica internazionale, a non saper trovare e scegliere la propria più dinamica e idonea collocazione di qualità e primato competitivo tra i grandi player dell'economia mondiale, oggi più che mai avvitati e talvolta addirittura impantanati in una guerra commerciale sui dazi, l'egemonia di vaste aree e settori di mercato, produzione e consumo, la riformulazione dei rapporti di forza finanziari, fiscali, monetari che richiedono la ridefinizione di accordi, trattati,più complessivamente la revisione e la semplificazione di tutte le clausole di diritto internazionale in tema di scambi economici e doganali.
Come accade durante la crisi commerciale, agraria e doganale scoppiata nel 1880, ancora una volta il meridione, con le sue già deboli strutture produttive e i suoi fragili circuiti mercantili, appare in uno stato di grave ritardo e abbandono, nel mentre il settentrione è di fatto incapace di imboccare una precisa strada evolutiva, di proporre una soluzione in grado di far uscire il sistema economico, sociale, produttivo e culturale del Paese dallo stato di prostrazione e declino in cui si ritrova.
A tal proposito Visco scrive che:
"sono stati numerosi, nel tempo, i tentativi di affrontare le difficoltà dell’economia meridionale, con interventi assai diversi nell’impostazione e, nel loro complesso, deludenti nei risultati. Le misure di sostegno possono contribuire alla crescita dei territori in ritardo; non devono però distorcere gli incentivi di imprese e lavoratori, ostacolando l’impiego delle risorse nei modi più produttivi. Per migliorare le condizioni economiche nel Sud e nelle Isole ed elevarne il potenziale di crescita vanno definite e poste in atto linee di azione di lungo respiro, con il pieno utilizzo delle possibilità offerte dai finanziamenti europei e nazionali. È necessario intervenire sui fattori alla base del ritardo del Mezzogiorno, non ci si può solo affidare ai tentativi di compensarlo con trasferimenti monetari. Gli effetti sull’economia meridionale degli investimenti pubblici nella scuola e nelle infrastrutture possono essere rilevantissimi."
Non a caso le 'paradossali' e apparentemente incoerenti oscillazioni e tendenze palesatesi nei risultati del più recente voto europeo segnalano che, nella misura in cui a Mezzogiorno si alza la bandiera bianca della resa e del disarmo economico, sociale, politico e civile, questo mix pericoloso e allarmante si traduce, quasi con statistica previsionalità, in un pronunciamento sofferente e spesso confuso, che va in direzione della rinuncia e del distacco dalla partecipazione alle scelte.
Una rassegnazione atavica che diventa più moderna propensione a voler cedere, per stanchezza e fallimento di ogni formula operativa, la 'sovranità' meridionale ad altre logiche di comando e governo politico del Paese.