Crotone, Viaggio nell’inferno dei Social di Periferia. Un pauroso spaccato di odio e menzogne nel cuore vuoto di una piccola città del Sud

28 giugno 2019, 08:14 100inWeb | di Vito Barresi

Una città nervosa, repressa che non concede like. Stalking e nevrosi, maltrattamenti psicologici e persino violenze, secondo alcune fonti attente e sensibili, corrono sulla banda larghissima dei social. Il cerchio locale di questo inferno digitale risulterebbe, in rapporto percentuale con la popolazione, particolarmente vasto, tanto che, insieme a Verbania e Pesaro che hanno un pubblico pari al 41,5% e del 34,5%, Crotone si piazza al secondo posto con il 36,9%, per frequenza giornaliera sui principali social.


di Vito Barresi

Sulle frequenze di questi mezzi denominati, non si comprende quanto appropriatamente, 'social' corre sotto traccia anche tanta nevrosi personale che si riversa nella vita sociale, famigliare, relazionale, tramite la diffusione e la pubblicizzazione della propria posizione e condizione individuale.

Si tratta di un piano d'intreccio abbastanza semplice ma allo stesso tempo complesso. Lo stesso in cui accanto alla registrazione e 'comunicazione socializzata' dei momenti e degli eventi felici della propria vita privata si sovrappongono automaticamente e a 'scorrere' sul video scatti improvvisi di rabbia, contrasti, conflitti, imprecazioni, che evidenziano l'incapacità a gestire una buona e ottimale relazione comunicativa con il nuovo vicinato virtuale.

La conferma di una forte impreparazione, anche storica, di saper comprendere il senso della comunità che dialoga, scambia le proprie opinioni, e che comunque mette a disposizione degli altri e del pubblico parti 'vulnerabili' della propria personalità, del vissuto intimo talvolta, specie tramite la condivisione delle foto che diventano un vero e e proprio album, un repertorio messo a disposizione non solo degli amici ma molto spesso dei 'nemici', degli avversari o dei cosiddetti portatori sani dell'invidia sociale, è un dato statisticamente confermato dai vertici stessi che producono in dimensione globale i social media.

Rispetto alle nuove dimensioni di apertura e condivisione proposte dalla comunicazione elettronica e tecnologicamente innovativa ciò che colpisce è non solo e non tanto la diffusione del micro media, del media personalizzato e socializzabile, quanto ancor più, quando essi sono così diffusi nel contesto sociale reale di un piccolo paese, un quartiere di periferia, la mancanza quasi totale di un'adeguata formazione generale e specifica, che permetta di tutelare la propria reputazione, se necessario sapersi difendere nelle vite virtuali più ancora che in quella reale.

Conosciamo bene gli improvvisi scontri, le guerre incontrollabili che possono scoppiare d'un colpo con sconosciuti, sia singoli che in gruppo, che utilizzano i social come una spranga, un coltello, una pistola sempre fumante per minacciare, spesso attraverso l'anonimato, provocando attacchi di panico nella folla solitaria dei computer.

Sta di fatto che di storie maledette se ne raccontano tante ovunque in Italia e anche a Crotone.

Nella piccola comunità alcuni gruppi di persone sono più vulnerabili di altri, per cui rischiano di più di fronte ai cosiddetti 'sovraccarichi' di esperienze, conflitti, rapporti dialettici o contrappositivi, ecc. che sono quelli della vita, del lavoro, delle relazioni umane, della politica, dei sentimenti, dei legami di affetto, passione, amore.

Con il pericolo che tutto possa lacerarsi in un istante. Questi 'crash' sono sempre più presenti sulle pagine Social che riguardano il cerchio, il circolo comunicativo della città.

Siamo stati travolti dall'avvento di questo nuovo modello di comunicazione interpersonale e lo abbiamo accolto, assorbito e giudicato, anzi accettato, come ineluttabile, immodificabile. Per cui se pure crediamo supinamente e acriticamente che i social non fanno male a nessuno per principio, poi le notizie e i fatti circa una loro quota di intrinseca 'violenza' ci fanno ricredere.

In realtà i 'social media', come tutti media sono tutt'altro che indifferenti e refrattari a quanto li circonda, anzi. Probabilmente questa 'quota di intrinseca di violenza' sta nelle loro stesse procedure tecniche nella velocità che si nasconda in quel meccanismo falsamente neutrale che è lo 'scatto alla risposta', il collegamento impulsivo e talvolta compulsivo tra azione e reazione comunicativa.

Spesso poi si fa finta di niente, si evita di parlarne, si cancella un po' tutto, si decide persino di non rivolgersi alle competenti autorità di polizia che pure svolgono un encomiabile lavoro di sorveglianza, prevenzione e repressione.

L'immaginario Social non è più uguale a quello collettivo. Per questo il volto morale, la struttura psicologico diffusa dei crotonesi è in poco meno di venti anni profondamente cambiata.

L'immaginario corrente del pubblico locale si forma in un istante ma al contempo agisce sul fondo oculare della psicologia sociale e si adagia passivamente attivamente sul medio periodo. Anche se non ha la sedimentazione persino secolare di quello che è il comune sentire della memoria collettiva, per molti aspetti si sovrappone immediatamente su quello stesso 'disco storico', incidendo su di esso fino a deformare quel circuito mentale, espandendosi in pochi attimi in tutta la città, sia di giorno che di notte.

A differenza della memoria collettiva l'immaginario condiviso sui social produce immediatamente molti danni, spesso e talvolta inavvertiti e irreversibili, generando una catena brutale di bugie, menzogne, contumelie, spietati quanto cinici meccanismi di accusa senza alcun appello ne difesa.

E così sui social si vivono momenti, ore e giorni di ansia e tensione, di odio e cupidigia come se tutto ciò fosse prevedibile senza nessuna apparente trasgressione delle norme di civiltà e delle stesse leggi civili e penali.

I social diventano nelle piccole comunità lo specchio esatto di una società che nega di avere un codice sessista, molto spesso anche razzista utilizzando uno strumento, un media apparentemente democratico e accessibile a tutti.

Ancora nessuno ha studiato approfonditamente l'effetto e l'impatto dei social media dentro i contesti dell'omertà, negli ambienti mafiogeni della 'ndrangheta, comunque, spazi negatori di libertà, di partecipazione e rispetto. Ci vogliono per questo adeguate soluzioni e soprattutto una attenta prevenzione per non ripercorrere le stesse strade sbagliate come fu per la droga e per l'alcool o il tabagismo.

Ecco allora che potrebbe essere necessario far crescere un'antenna, un'attenzione locale affinché tutte le persone, specialmente i giovani, si rendano conto che utilizzare i social può essere particolarmente lesivo per il loro equilibrio e la loro formazione.

Perché è proprio vero i social rischiano o fanno ammalare le persone, i social sono uno strumento di manipolazione in mano a scaltri gruppi di potere politico, una pericolosa arma contundente nelle mani di leader che con la propaganda vogliono raggiungere i loro scopi di comando e di dominio.