Ah... se ci fosse anche in Italia un Martin Scorsese capace di raccontare (come ha fatto la sua cinepresa con Bob Dylan) la vita artistica di Francesco De Gregori. A cominciare dai suoi belli capelli dorati fino a giungere alla faccia solcata dall'esperienza, biografia di una passione di lunga durata, giungendo a ridosso di una strada che svolta tra la campagna e il mare, oltre il passaggio a livello di Soverato, quasi l'estrema punta dello stivale, dove suona una sera di luglio all'Arena Summer con la sua Orchestra Greatest Hits Live.
di Vito Barresi
De Gregori arriva in Calabria, sulla Riva Sud del Mediterraneo, mare antico degli dei, adesso una tavola di Cezanne, un fantastico disegno di Magritte, il suo 'Miramare' contemporaneo suscitando la nostra immaginazione sonora, colorandone il paesaggio magari con guarda i muscoli della Capitana Carola e il sorriso finale dei suoi migranti, quasi fosse un brano del Titanic, tra pesci in freezer che onnivori hanno mangiato resti e cadaveri, ma come fanno i marinai ancora a non cantare a squarciagola contro, la sagoma di una giovane donna cannone, che orgogliosa e semplice tiene testa ai mostri marini e terrestri della politica d'abord.
La capitana di questo piccolo Titanic è pure lei una ottimista di questo nuovo secolo, la protagonista di una storia simbolica forse simile a quella della Sea Watch.
Sulla Riva dello Jonio come George Gissing il cantautore capitolino ci viene non più come compassato emulo di Bob Dylan, ma col Passo d'uomo, che è il titolo di tutta una vita, la copertina in bianco e nero del suo bel libro confessione, conversando con Antonio Gnoli.
Un volume scritto sottovoce in cui si racconta come in un lungo, lunghissimo e infine brevissimo concept life, risuonano i timbri e le suggestioni acustiche della sua splendida vita artistica.
E anche se, dialogando a Bologna alla libreria Coop Ambasciatori, esattamente a due minuti dalla porta di casa del suo carissimo amico Prof. Domenico Sputo in arte Lucio Dalla, un libro non è mai la stessa cosa di un disco, e nè tanto meno di un concerto, non fosse altro perchè quasi mai un narratore può sovrapporsi a un cantante che incide la voce.
Talchè l'effetto del suo libro bellissimo sarà eguale a quello di un passo di danza di un ballo gitano solo se lo tieni aperto con un disco che arriva alla fine del discorso, quella che conosci già, acqua corrente fino a poco tempo fa, e adesso, adesso si è fermata qua.
Artista che veleggia verso gli anni ottanta, che sa tornare di moda oltre il vintage ma con un linguaggio popolare, accentuatamente country, splendido ricordo originario del FolkStudio in Piazza Garibaldi, a Trastevere, puntando sulla solidità poetica delle sue ballate, la musicale liricità dei suoi ritornelli, poesia soffusa ermetica, aleggiante, che fa gridare al miracolo di una nuova stagione di un personaggio che ha raccontato l'Italia dagli anni Settanta ad oggi, viva l'Italia che si dispera e l'Italia che s'innamora, viva l'Italia sulla Luna, la storia di lunga, lunghissima durata di una nazione, che ora guarda senza nostalgia nè cinismo ma con la visione del contrappunto, la nota lirica di chi ancora gioca e nasconde le carte dei suoi Tarocchi.
De Gregori resta 'un signor cantautore', nonostante sia finita l'epoca del divismo e dei grandi tour mitologici, e sia giunta l'ora delle antologiche contestuali, i momenti speciali che collegano passato e presente, le notti d'estate che scolpiscono il personale mainstream della memoria storica e degli affettuosi ricordi personali, magnetizzando un pubblico che sa di ritrovare davanti a se, il front man minimalista che sul palco diventa sognatore soffuso vicino, amico fedele dei cicli generazionali, menestrello delle stagioni sentimentali, sempre al timone della sua Arca orchestrale.
Una navicella sonora che De Gregori stesso lascia scivolare a velocità di crociera con i suoi musicisti revival che lo assecondano, dritto sul cassero mentre suona la chitarra, la ricchezza con il rumore, il diritto con il carnevale, l'innocente con il criminale, il generale con l'ammiraglio, un direttore d'orchestra old fashion, che naviga sui barconi random degli zingari migranti, tra le vibrazioni di un mondo straniero senza più cuore e soldi che non hanno odore, lasciate cadere nell'aria notturna del paesaggio italiano.
Black magic man di long play immortali, tra musica e stile di vita, background di educazione civile e di formazione morale, filosoficamente De Gregori è il Kant della canzone d'autore italiana, lo spartito raffinato di una Musica della Ragion Pratica, dove due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me.
Per cui oggi con i colossi delle musica in streaming, un concerto di spessore è come una Radio Day, unico e speciale, una stazione di suoni, strumenti, amplificatori, mixer, senza la manipolazione digitale ma col solo apporto dell'impianto elettronico che irrobustisce e velocizza la musica, al netto di sofistiche campionature artificiali e senza intelligenza fabbricate nella sale di registrazioni dei computer.
Dal vivo, un concerto è quasi uguale alle trasmissioni di una stazione radio in diretta, Radio Carolina di sogni in cui si intrecciano e meticciano poesia e futuro, nostalgia e occhi lucidi, perchè se mi cercherai sempre per sempre dalla stessa parte mi ritroverai.
Così quando il successo torna sui campi verdi della nostalgia per farsi finalmente vera storia, un ponte attraversato da più generazioni di fans, questi riascolteranno i suoni e la voce analogica e sorgiva senza che all'altezza delle note, il timbro e il ritmo siano alterati, proprio mentre i suoni originali sgorgano dai microfoni del cantante e dell'orchestra, compresi i respiri e le pause sonore di Francesco, immediate percepite dall'orecchio assoluto da quel suo pubblico speciale e affettuoso che si forma nei suoi concerti, nella session reale delle sue indimenticabili serate.