È indubbio che adesso lo Stato non ha più rivali né ostacoli a Crotone e nel suo comprensorio. In poco meno di venti anni si è determinata una situazione “speciale” che non ha precedenti nella storia nel Sud Italia. Tutta la vicenda sociale ed economica di un luogo, un’area, una circoscrizione del territorio nazionale è praticamente finita sotto il controllo e la sorveglianza diretta di dirigenti, funzionari e burocrati dell'amministrazione statale, tenuto conto che quasi per intero le istituzioni nevralgiche, dal Comune pitagorico sotto commissariamento fino al Centro d’Accoglienza Migranti e Profughi di Isola Capo Rizzuto, sono in mano del potere centrale.
di Vito Barresi
Nel 2020 lo Stato Apparato presidia pienamente il territorio istituzionale e quello geografico del crotonese con un dispiegamento di forze e autorità, persino eccessivamente sbilanciato rispetto alle misure fisiche ristrettissime degli ambiti e delle circoscrizioni che compongono e costituiscono la configurazione materiale e identificativa crotonese.
Questo è un fatto, per molti aspetti inedito, che conferma un nuovo “processo di centralizzazione” in atto nel Mezzogiorno d’Italia, a partire da alcuni punti sensibili della Calabria che vanno dalla sanità all’ambiente, dalle amministrazioni comunali alla gestione delle principali risorse economiche regionali di natura pubblica (specie nel settore demaniale, energetico, naturalistico, economico, del welfare, ecc.) che meriterebbe uno specifico attenzionamento da parte di quel che resta della dialettica politica libera e indipendente e degli organi civili dell'autogoverno locale.
A questa “svolta centralizzatrice” corrisponde direttamente una proporzionale politica di restringimento degli spazi di autonomia degli enti locali, dell’autodeterminazione delle popolazioni, con un esercizio diminuito sia della democrazia partecipata che dell'effettivo potere e “disponibilità” decisionale dei soggetti sovrani e di quelli amministrati.
Tutto ciò sta avvenendo sotto il manto di quella perentoria richiesta di intervento statalista giustificato dal “dilagare” dell'illegalità diffusa, e per questo quasi senza commensurabile misurazione reale, dall’emergenzialità imposta dall’assalto che i gruppi criminali porterebbero alle stesse istituzioni, prima ancora che ai cittadini, alla società e alle persone.
Siamo forse, si chiedono in tanti e al momento timidamente, di fronte a una discutibile “svolta” rispetto a compiti, ai ruoli e alle funzioni costituzionalmente previste dello Stato Apparato nei confronti della Calabria e del crotonese?
Dubbi e preoccupazioni del tutto sostenibili e legittimati, non fosse altro perché qui manca completamente in concetto e in prassi lo Stato Comunità, poiché in Calabria massimanente in alcuni luoghi non si svolge né si articola, se non per lusso e per orpelli di un ristretto ceto dominante, quella che altrove, pur nei limiti della attuale profonda crisi della politica, è l'espressione funzionale, tra conflitto, mediazione e rappresentanza, della democrazia partecipata.
Tanto che in questo tempo di generale “fine della politica” la domanda che si staglia in fondo ad ogni discorso è l'unica che ci interroga: a chi spetta dettare l’agenda programmatica per questa regione e per città?
Torniamo al territorio per ricapitolare che quella appena parzialmente conclusa è stata una battaglia di lunga durata per la riconquista del dominio territoriale nel crotonese.
La stessa che ha visto gli apparati pubblici, i reparti governativi con in testa quelli repressivi e di controllo sociale, ottenere il totale “predominio” della vita comunale, imponendosi in quanto protagonisti assoluti e monopolistici nella direzione dell’amministrazione cittadina.
Se, per rispolverare un classico di antropologia politica (“La società contro lo Stato”, Pierre Clastres, Feltrinelli) “la storia dei popoli che hanno una storia è la storia delle lotte di classi” mentre “la storia dei popoli senza storia è la storia della loro lotta contro lo Stato”, potremmo predisporci a una lucida analisi che va oltre la contingenza della stretta cronaca giudiziaria, che ha portato al più recente scioglimento del consiglio comunale.
In breve, se non ci sarà bisogno di scomodare le più illustri filosofie hobbesiane, vuol dire che finalmente è arrivato il momento per sapere quanto e come lo Stato centrale e le sue amministrazioni periferiche saranno in grado di dare e fare per promuovere e sostenere la crescita e l’evoluzione di una città che si trova già da tempo, sebbene molto solitariamente, e per questo quasi sempre incoerentemente e disordinatamente, di fronte ad una nuova ondata di modernizzazione economica e sociale che sta impegnando soffertamente e duramente l'intero Mezzogiorno.
Una difficile transizione per tutto il Sud che si dovrà realizzare nel passaggio complesso tra una piena e legittimante integrazione nell'Unione Europea e una galoppante esposizione alla spesso incontrollabile, persino indomabile globalizzazione dell'economia e della psicologia sociale delle popolazioni che vivono nel bacino del Mediterraneo.