Un vescovo “primo” nella città degli ultimi

5 gennaio 2020, 16:14 Il Fatto

Crotone ha il suo nuovo pastore. Un uomo giovane per una città vecchia di millenni ma rimasta da lungo tempo ai margini. Periferia non solo di una regione già difficile, quanto anche di un’Italia sempre più lontana e di un continente europeo ancor più distante. Un territorio ultimo nelle classifiche economiche e sociali; fanalino di coda per indici di vivibilità, livelli occupazionali, assistenza alla povertà, indigenza e servizi di welfare, che hanno ancor più allargato la forbice sociale tra chi tanto ha e chi nulla ha, spesso nemmeno quel minimo per una dignitosa vivibilità.


di Vincenzo Ruggiero

Questo lo spaccato che si troverà ad affrontare nel suo primo ed assoluto mandato” episcopale Monsignor Angelo Raffaele Panzetta. Uomo giovane - dicevamo - poco più che 50enne, che chi conosce definisce riflessivo e al contempo decisionista.

Uomo equilibrato e determinato ma che sul suo tavolo troverà una croce a far da fermacarte di un file composito sui mille miasmi di una città catatonica e, soprattutto, rassegnata.

Dovrà iniziare, probabilmente, dai gangli interni della sua nuova dimora diocesana, negli ultimi anni apparsa sempre più scollata” dalla realtà circostante, dagli ultimi, apparentemente chiusa ed arroccata tra le mura secolari della dottrina teologica e sempre meno incline all’ascolto dei bisogni; quasi refrattaria al confronto con quel mondo socio-politico che ha ammantato, accompagnato e segnato in solitaria il destino della comunità locale.

Mons. Panzetta dovrà avere l’abilità - se il suo mandato vorrà essere netto - di rinnovare anche una curia più di servizio che al servizio: rigenerando, ringiovanendo, rinvigorendo una “strutturaecclesiale a nostro avviso sonnecchiante e abulica.

Dovrà avere il coraggio, risoluto, poi, di verificare e rideterminare le esigenze primarie della Sua Comunità, delle tante pecorelle smarrite tra l’edonismo filosofico ed economico e quell’esigenza terrena d’un tozzo di pane che le ha spinte sempre più tra le braccia del “male: del nepotismo, del clientelismo, del familismo.

Energie di un popolo incanalate con sempre più disinvoltura più nell’invidia che nell’unione, nell’odio reciproco invece che nell’abbraccio; nel disprezzo piuttosto che nella condivisione foriera di progresso ed emancipazione.

Dovrà, ancora, Mons. Panzetta sfondare quelle porte quasi sprangate di un dialogo bidirezionale con una classe dirigente locale, sia pubblica che privata, arroccata nelle proprie ricchezze (materiali) e sempre meno incline al rispetto di un prossimo che non sia propriamente affine al suo rango.

Una classe dirigente avvezza alla sola concessione di un tozzo di pane e non già alla volontà di un vero riscatto di un territorio che ne ha fatto le proprie fortune. Talmente desueta al rispetto di ruoli, capacità e professionalità da averli letteralmente soggiogati alla valorizzazione delle furberie e dunque delle incompetenze.

Dovrà, infine, il nuovo vescovo, divenire luce, faro e, soprattutto, sestante di quelle istituzioni dello Stato che occupano i palazzi di Giustizia, gli Uffici di Governo, gli Enti, finora ed evidentemente letti come troppo assenti e distanti dalla quotidianità di una comunità che ha sempre più l’esigenza di intravedere un anelito di rispetto, di onestà, di trasparenza. Ma soprattutto di libertà e autodeterminazione.

Se così non sarà, fra qualche tempo ci racconteremo desolati, ed ancora una volta, la storia di un pastore anch'egli smarritosi tra le selve oscure di un bosco incantato.