Ma è morale andare a votare in una Regione dove i giovani sono fuggiti? Calabria altrove non nel vuoto di un vasetto di cristallo

13 gennaio 2020, 00:20 100inWeb | di Vito Barresi

Ricevo via mail la lettera di una ragazza calabrese che lavora a Londra. A suo modo è la testimonianza di una generazione espulsa dalla propria terra, tuttavia e anche un vibrante esempio di identità e coraggio, cosmopolitismo e comunità. Tra ideali e cultura materiale il testo non traccia bilanci né propone proclami. Soltanto, realisticamente, tratteggia la delusione, il disincanto, il disegno di un sogno custodito con schietta gelosia umana, la semplicità di un sentimento che non si è mai trasformato in progetto politico. Se non quello di una pessima “élite” del potere regionale, i vincenti in tutti campi al limite della corruzione etica e ideologica, che con incallita professione di tradimento morale ha deluso milioni di calabresi.


di Vito Barresi

Ancora un’impressione a margine del testo che segue, cioè per intricare che in una regione sommersa, dai rifiuti suburbani e dal rifiuto persino esistenziale, c’è un'immensa realtà nascosta che non riesce a coagulare speranza. Di questo immenso giacimento di energia, potenzialità, conoscenza, creatività, bravura, sparso per l’Europa e nel Paese non si apprezza neanche l’urlo gentile che non diventa pittoresca protesta, sottovuoto mediatico compresso in preziosi vasetti di cristallo.

C’è però il sottile rifiuto, persino con quel tanto di disprezzatura, verso chi resta in Calabria e partecipa al falso e ipocrita balletto della campagna elettorale.

Un documento di bruciante e integrale ribellione, specchio umano di una generazione straniera che ama alla follia la propria terra natia.

In breve, un contributo che pone la questione morale sulla scelta astensionista alle elezioni regionali come estrema forma di dissenso nei confronti di una realtà edulcorata e manipolata da poteri forti, occulti, nepotistici, affaristici e lobbistici, come è quella in cui si trova assoggettata la democrazia regionale in Calabria.

Astensionismo come risposta etica e politicamente motivata, sciopero bianco dell’urna quale proposta coerente e condivisibile alla forzata assenza della parte più giovane, vivace e coraggiosa della popolazione attiva che ha lasciato città e paesi per raggiungere l’altra Italia?

Una consistenza tutt’altro che retorica e posticcia ma concreta, visibile, quantificabile e qualificabile, tanto da rendere legittima la domanda: si può ancora andare a votare per eleggere i governatori di una Regione dopo che i giovani calabresi hanno lasciato, fuga dalla schiavitù della disoccupazione, della raccomandazione, della discriminazione dell'umiliazione, questa torturata terra in mano a briganti banditi della politica e delle istituzioni?

Segue la mail ricevuta da Londra.

“La vera Calabria è altrove, sappiatelo, anche se i finti calabresi sono rimasti qui. La vita reale della Calabria pulsa in luoghi lontani migliaia di chilometri, segmenti e rette parallele dislocate in posti e non luoghi d’Europa e del mondo.

Non illudetevi che all’estero vinca solo la ‘vostra’ ‘ndrangheta. La vita vera della Calabria sognata, sospirata, immaginata e costruita con le proprie mani vuote sta nel cuore di chi ha visto negato il proprio diritto alla comunità, raccogliendone i fili in piccoli brandelli di memoria.

I calabresi esistono davvero ma solo in un’unica dimensione compiuta, vissuta, spezzata nell’infanzia dolcissima, nella sorridente felicità di una giovinezza brevissima.

Tutti vorrebbero tornate dove voi, invece, siete rimasti, in un punto di luce che tra due mari è sempre l’essenza profumata di una vita speciale, il racconto di una mitica, tenerissima fiaba di terra e libertà.

In Calabria le città non possono avere alcun piano regolatore, respingono i vostri inutili e illusori programmi, perché lì conta soltanto l’orizzonte lontano, il paese dell’utopia, il sogno americano, il tango sud americano, la tranquilla distanza che placa il dolore dell’abbandono.

Non ci sono ‘palazzi' in Calabria ma palazzinari che assaltano e deturpano i templi dell’umanità perduta, la lingua tagliata dei poeti scherniti e affranti, il sangue vermiglio del lupo sgozzato sulle nevi bianche che incorniciano le acque elettriche dei laghi silani.

Per riconciliarsi con la vostra Calabria deturpata non possono bastare i trucchi e i proclami elettorali. Impossibile è fare la pace con la vostra protervia egoistica, con i vostri toni antiestetici e stonati.

Perché in Calabria non abitano più i fieri calabresi ma una popolazione che più nulla ha a che vedere con il sogno, l’immaginario, le sfumature, la speranza e la disperazione, la rabbia e l’entusiasmo, con il conto alla rovescia del giorno dell’attesa.

Sono nata e cresciuta in Calabria anche se ho sempre saputo che questo sud sarebbe stato per me soltanto un’illusione, una residenza temporanea.

Sento da lontano parole balorde su come si dovranno cambiare i mobili negli uffici perché i vecchi locatari sono stati sfrattati dai nuovi inquilini vincitori, mentre tra le contrade e i borghi gli abitanti di un tempo sono andati tutti via.

I paesi chiusi sono ormai vuoti. Avevamo vissuto in quelle viuzze, nelle rughe di pietra di quelle valli fresche di bellezza rugiada ma ora l’abbandono e la desolazione sbarrano l’accesso anche alla corriera.

Le case rurali disabitate dai contadini andati via, sull’aia ruspante non si beccano galline sotto il tetto, uomini e donne scappati dal loro Egitto per imboccare la via sconosciuta della liberazione, la libertà di scelta dalla solitudine, un popolo in movimento perenne, la Calabria che è ciò che sarà dove sarà, il paese evocato sempre da altrove, dove si trovano le tracce di un popolo ma non dei suoi figli, lasciando alle spalle l'universo dei simboli dell’antichità che è l’eterno ricordo della disperazione.

All’estremità dell’autostrada europea la torre dei moralisti guarda l’astronave caduta in mano alle mafie.

Quelli che sono restati, il resto del carlino dell'io resto, sospirano sul capello del giudice appeso tra gli abiti smessi, accatastati sopra la senile spalliera di spavalde istituzioni, mentre la storia del teatro corre verso la nuova stagione delle ultime maschere.

Non ritornerò per mettere nell’urna le ceneri dei miei legami anche se mi chiedo a chi appartiene questa Calabria della diaspora.

State pure tranquilli che non vi disturberò, non cambierò i vostri propositi, tanto la festa è già finita.

La mia assenza non è un voto in meno che vi farà perdere l’ago sulla bilancia, tanto non c’è appello che valga per la vostra attenzione. Non lo ascoltereste neanche, sordi che siete financo al concerto del mare che vi circonda”.