La Chiesa in Calabria di fronte a un voto di “periferia”. Elettorato cattolico tra maggioranza astensionista e voto di scambio

23 gennaio 2020, 13:00 100inWeb | di Vito Barresi

Che altro dire se non che in Calabria sono ormai lontani i tempi in cui la Chiesa era il faro d’orientamento elettorale dei cattolici, la roccaforte inespugnabile di un sicuro voto regionale in ossequio alle indicazioni di vescovi, sacerdoti, dottrina ed encicliche sociali?


di Vito Barresi

Cassaforte blindatissima del consenso alla Democrazia Cristiana e alla sua immensa galassia di onorevoli candidati campanilisti, capoluoghisti, solo qualche reduce e vecchio uomo di chiesa ricorda le foto d’epoca di quando, nell’ormai lontano secondo dopoguerra del Novecento, si faceva la fila dietro la sagrestia della canonica per ottenere il necessario appoggio dei potentissimi e piissimi parroci.

Restano sullo sfondo le figure eroiche di Don Carlo De Cardona e don Luigi Nicoletti ma oggi, a pochi giorni dalla chiusura di una brevissima campagna regionale in stagione invernale, anche nelle curie diocesane si avverte l’encefalogramma piatto e l’arresto dei battiti cardiaci di quel che era la politica delle grandi sfide “old style” tra Riccardo Misasi e Carmelo Puja.

Tanto che da un’attenta lettura dell’Appello della Conferenza Episcopale Calabra alla Politica Regionale (QUI), a cui si chiede che “si riscoprano i valori della competenza, dell'esperienza e del servizio”, quasi si ricava la sensazione di una certa stanchezza, l’impressione di una certa apatia o afasia, verso il rito stanco e un poco ipocrita delle

“elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale e l'elezione del nuovo presidente della Giunta regionale, nel mentre si richiamano tutti e ciascuno ad assolvere con coscienza e libertà il proprio dovere di elettore”.

Quasi sembrerebbe che la Conferenza Episcopale Calabra abbia voluto piuttosto chiudere in fretta che aprire ampiamente il dibattito e il discernimento su una pratica elettorale scadente, confusa, impreparata, rissosa e civicamente molto ambigua, caratterizzata dal diffuso disinteresse popolare e dalla sempre più marcata distanza dai vari schieramenti in competizione, completamente disancorati dai valori cattolici irrinunciabili, esclusivamente lanciati nella conquista del proprio posto di potere personale.

I vescovi calabresi, a parte il silenzio e la consegna sull’argomento, se ne parlano lo fanno con un evidente e amaro distacco, come in questo unico e solo documento diffuso, non a caso sul finire dell’anno, esattamente lo scorso 30 dicembre, in cui si

“auspica che forze politiche, movimenti ed associazioni sappiano orientare le loro scelte ai principi del bene comune e del senso di responsabilità, necessari e richiesti a gran voce da una terra martoriata - in specie nelle classi più povere - dalla pervasiva presenza della criminalità organizzata, dal dilagare della corruzione, dalla mancanza di infrastrutture, dalla ripresa dell'emigrazione, dalla scelta di un esodo senza ritorno dei giovani, dalla disoccupazione e, negli ultimi tempi, anche dalla grave crisi che attanaglia sempre più la sanità, vero problema tra i problemi, costringendo sempre più calabresi a cercare fuori regione anche i presìdi terapeutici”.

Perché se la vera questione, una volta finita l’era del fiancheggiamento indiretto, è quella urgente di contenere o cercare di riparare i guasti di una politica violenta, invasiva, totalitaria e liberticida che si esprime nel comando sociale ed economico di un sistema dei partiti regionali, infiltrati e devastati dalla ‘ndrangheta, dalla corruzione e dal malaffare, allora osservano i prelati calabresi:

“occorre rifuggire da pratiche deprecabili, oltre che illecite, a partire dal voto di scambio, sotto ogni sua forma, esercitando con matura espressione il proprio consenso: tutto ciò servirà a ricucire i rapporti tra politica e cittadini ed arginare la diffusione di fenomeni degenerativi di antipolitica, dannosi per la tenuta ed il funzionamento delle Istituzioni e l'integrità del tessuto sociale”.

Ma adesso che è del tutto inutile chiudere la stalla quando sono fuggiti i buoi, cosa poi potrebbe fare di più il clero calabrese, almeno apparentemente, scomparso dalle turbolenze contrapposte della battaglia politica ed elettorale, per affrontare la marea montante della maggioranza astensionista o scongiurare la deriva del clientelismo mafioso?

Cosa di più se non rileggere un romanzo di Bravi, don Rodrigo, l’Innominato e don Abbondio vestiti alla calabrese?