Se fosse stato un referendum che richiede un quorum di votanti, una maggioranza del 50 più uno, questa XI Legislatura del Consiglio Regionale della Calabria, non avrebbe ancora visto il suo stesso inizio. In realtà nonostante la lapalissiana considerazione per cui in una regione che non vota appare quanto mai assurdo che sia vigente una legge elettorale con uno sbarramento posto all’8%, cioè un gravame antidemocratico finalizzato solo a sperperare e bruciare risorse ed energie, pezzi di sovranità buttati al macero, altrimenti utili e indispensabili come il pane per il nutrimento della vita istituzionale, le elezioni regionali sono da ritenersi a pieno titolo legittimate dal suffragio di una ben ristretta parte minoritaria del corpo elettorale.
di Vito Barresi e Giuseppe Cosentino
Come è noto la competizione si è svolta su un drammatico sfondo socio-economico, evidenziato ormai nella sua crudezza e senza alcun accorgimento edulcorante dalle reti televisive nazionali e dalle principali testate giornalistiche che hanno descritto la Calabria nelle immagini di un’autentica emergenza nazionale e da molti opinionisti annotata e descritta come disastro o catastrofe europea.
In questo contesto la risposta complessiva della politica appare inidonea già solo ad abbozzare una via d'uscita e di superamento tanto che l’esultanza e il giubilo per la vittoria ottenuta dal gruppo Santelli&Co. hanno assunto immediatamente non solo il colore dell’avanspettacolo bensì il tono molto preoccupante della stonatura e del cattivo gusto.
Tuttavia, a dispetto di quanti con eccesso di disinvoltura hanno “degradato e denigrato” l’esito del voto in sé, il dato fondamentale è che ha vinto la regola dell’alternanza che, comunque, al di là dello schieramento “premiato”, non può essere né intesa né presentata come un’anomalia calabrese rispetto al voto di altre regioni italiane.
E ciò a motivo che se altrove ha prevalso la continuità e la stabilità del buon governo, qui si è imposta, persino oggettivamente necessitata e necessaria, l’alternanza al vecchio regime espresso tramite un giudizio rigoroso e netto di fronte all’eclatante e “scandaloso” malgoverno del centro sinistra regionale.
Anzi, e si può asserire con ampio margine di certezza che, nonostante il ritorno sulla scena di personaggi appartenenti alla pessima consiliatura in cui “regnava” e dominava l’asse di Giuseppe Scopelliti e Franco Talarico, finita con clamore giudiziario e penale di rilievo nazionale e internazionale, quest’ultimo esito elettorale è stato purtroppo obbligato, in quanto unica opportunità per sanzionare un “centrosinistra spurio”, truculentemente capeggiato da un Presidente, Mario Olivero, che passa alla storia regionalista come uno dei più politicamente scorretti, “irresponsabili” e amministrativamente incapaci.
Tutto questo a misura del fatto che nel quinquennio della sua amministrazione tutti i livelli gestionali e i servizi connessi sono precipitati negli ultimi posti delle classifiche di rango sia italiane che europee, con l’aggravante di una deriva semi oligarchica che ha negato la normalità funzionale attraverso l’accentramento e la non assegnazione di deleghe nei settori cruciali della sanità, dell’agricoltura, del turismo e dell’ambiente.
Tuttavia, nonostante non si sia affatto giunti al punto di rottura con le logiche anacronistiche e consunte del vecchio modello regionalista partitocratico, vi sono stati alcuni segnali eclatanti che vanno sottolineati:
- sono notevolmente diminuiti gli “exploit” nella raccolta e nell’acquisizione individuale del consenso;
- sono inoltre cadute molte rendite di posizione di vecchi signori del voto (Gentile, Battaglia, ecc.)
Dettagli non irrilevanti che perlomeno sembrerebbero annunciare la richiesta di un’offerta politica più differenziata. D’altra parte l’enorme fenomeno dell’astensionismo che ha sfoderato una stabilità degna di una “performance” sociale gigantesca e di massa rappresenta, ad onta dei minimizzatori e dei detrattori, l’elemento maggioritariamente più consistente del sistema politico regionale.
La maggioranza astensionista, infatti, ponendosi in posizione terza e altra, in quanto convitato di pietra, non solo ha negato il quorum alla politica in lizza ma “resta in Calabria” l’unica capace di alzare l’indice accusatorio puntandolo frontalmente contro il ceto politico dominante, parimenti a quello della Legge e della Procura di Catanzaro.
Comunque una realtà scomoda che non può essere facilmente nascosta né tale da poter essere liquidata in maniera generica e sommatoria.
Al contrario la non partecipazione al voto richiede di essere sottoposta ad un più accurato vaglio analitico, rivendica di essere politicamente valutata come l’espressione aperta e manifesta di un dissenso sociale diffuso che tende a delegittimare sostanzialmente e formalmente il regime democratico regionale imperante, il ceto politico che se ne assume la rappresentanza e il governo regionale in carica, accusandolo silenziosamente e pesantemente di puntare esclusivamente alla conquista del proprio potere personale e non invece di adoperarsi a colmare la distanza tra popolo e istituzioni, allargare la base elettorale aprendo le porte a segmenti vitali e decisivi che si vedono impediti ad esprimere il proprio indirizzo, come testimonia il dato riferito al 66% di incidenza femminile.
Fatto questo che certifica non solo l’arretratezza di genere della nostra società ma l’evidente mescolarsi di tratti di patriarcalismo e tradizionalismo clientelare, attestando altresì il totale fallimento del Consiglio Regionale precedente che non ha saputo far buon uso degli strumenti pur messi a disposizione dalle leggi nazionali e dal dettato costituzionale per attuare l’eguaglianza e la pari opportunità tra i sessi, legiferando adeguatamente e prioritariamente sull’argomento (altro che legge regionale di genere...!)
Asserire pertanto che l’astensionismo in quanto espressione della maggioranza silenziosa del corpo elettorale non sia stato un fattore incisivo e per molti aspetti addirittura determinante per la configurazione della nuova maggioranza di centro-destra, non solo è una frottola ma anche una smaccata falsità.
Perché, anche se per via invisibile e involontaria, è stata proprio l’aggregazione del non voto a fare scaturire simile risultato che in conclusione rende specificamente più debole sia la maggioranza che l'opposizione, specialmente la funzione del Presidente della Giunta Regionale che di fatto dovrà realizzare coesione e unità nei programmi, nei progetti e negli intenti non in base ad un largo consenso popolare ma essenzialmente contando sul 24% dell’intero elettorato attivo nel mentre gli oppositori si attestano sul limitante 13%.
A meno che non si voglia fare come gli struzzi o non si voglia nascondere la polvere sotto il tappeto è questo il vero punto che prelude alla quasi sicura ingovernabilità reale della Calabria.
Alla quasi certa non solvibilità dei problemi strutturali e infrastrutturali che minano profondamente ogni percorso di modernizzazione e di decollo di questa regione.
Infine, nota a margine, gli estensori di questo articolo, si auguravano almeno la sopravvivenza, per sentimento della carità in politica, pur sapendo che l’epoca attuale ha demolito anche il valore umano della proposta e dell’amicizia, e cioè che si avvertisse il soffio di un vero “popolarismo”, aperto, dinamico, Sturziano, europeo, non inquinato dall'orgasmo di dover esserci a tutti i costi, almeno come testimonianza ed esempio che è sempre possibile far prevalere una visione più organica e partecipata alla vita politica territoriale e regionale.
In una battuta, capace di far premio sui più vieti meccanismi di accordi e accordicchi, in fondo sempre perdenti, tra logiche e mondi in verità tra loro decisamente antitetici.