George Steiner quel maestro d’Europa che venne a Crotone per respirare l’aria eterna del vento pitagorico

5 febbraio 2020, 15:00 100inWeb | di Vito Barresi

Il Premio Crotone a George Steiner? Sembrò un sogno, una missione culturale impossibile. Eppure grazie alla schietta e cordiale amicizia, emotivamente sentimentale e ragionevolmente intellettuale, scoccata tra me e quell’indimenticabile e straordinaria personalità della cultura contemporanea italiana che risponde al nome di Antonio Debenedetti, riuscimmo egregiamente nell’intento. Centrando pienamente l’obiettivo che ci eravamo prefissato, cioè portare Crotone in Europa e l’Europa a Crotone. Tanto che il conferimento del premio a Steiner fu in quel senso un validissimo primo passo a cui seguirono poi Gore Vidal, Raffaele La Capria, Alfonso Berardinelli e Roberto Calasso.


di Vito Barresi

Ma, in quel suggerimento del nome di Steiner, c’era qualcosa di più. Qualcosa che forse, solo adesso, venti anni dopo, merita di essere anche raccontato. George Steiner, il più grande critico letterario al mondo, insieme ed ex equo con Jean Starobinski, approdò sulle rive delle Jonio che sembrava essere una sorta di reincarnazione pitagorica di un altro illustre viaggiatore di fine Ottocento, il suo doppio nello specchio del tempo mediterraneo, il britannico George Gissing.

In una splendida, luminosa e apollinea mattina di primavera, era il 9 maggio del 1999, il mese della antica festa pagana delle vergini soppiantata dal rito liturgico della Madonna Nera di Capocolonna, accompagnai Steiner a far visita al Parco Archeologico del Capo Lacinio.

E camminando tra i resti e le vestige di un’antica civiltà scomparsa mi accorsi che Steiner in silenzio ne respirava il polline, ne assorbiva le spore, inalando assorto la polvere d’argilla e tufo delle pietre disperse e frammentate a terra, cogliendo nel vento che tiepido carezzava il suo volto, il gene rimasto sospeso nell’aria, il “dna” perduto di un’altra mente.

A venti anni da quell'incontro con una figura emblematica della critica letteraria, personaggio “cult dell’intellighenzia occidentale, colui che “Le Monde” etichettò “le juif errant”, quei momenti si ripresentano nella nostalgia e nel ricordo con la stessa, intensissima riflessione, scelta da Debenedetti, per accoglierlo sul palcoscenico del Teatro Apollo:

“La musica dei Padri posso dire di averla sentita in certi momenti difficili della vita. La musica dei Padri è una musica che ci riconcilia con le nostre tradizioni, con la nostra identità. Ecco, qualcosa del genere mi è accaduto leggendo i libri di Steiner.

Ho risentito in quei libri la musica dei padri, la voce dei padri. Mi riferisco particolarmente a un libro suo che mi ha appassionato moltissimo che si chiama: ‘Tolstoj o Dostojevskij’. In quel libro, magicamente, Steiner riesce a farci sentire come per rapidi accordi di piano, tutto quello che noi abbiamo pensato di autori che ci riguardano molto da vicino: Balzac, Flaubert, Tolstoj, Dostoevskij.

Poi questa intelligenza l'ho ritrovata in 'Errata', un libro che mi ha molto commosso perché anche mio padre era ebreo come il padre di Steiner.

C’è un punto in quel libro dove l'autore riesce a far sentire l'attenzione la paura, trasformate e straordinariamente metaforizzate, che a quel tempo c'erano nelle case degli ebrei. C'era qualcosa nell'atmosfera delle case degli intellettuali ebrei, qualcosa di irripetibile di difficilissimo da scrivere e da cogliere che Steiner in queste pagine di Errata è riuscito a prendere con le mani e a buttare sulla pagina con una forza bellissima perché commovente, perché è la forza del cuore, non è solo la forza della mente. Proprio questa capacità umana è unita alla grande capacità del tecnico, del teorico.

Ancora adesso non scolorisce né sbiadisce il ricordo che mi restò impresso dell’uomo avvolto nella luce di un mondo rimasto nell’età bambina, la sua estatica emozione, quando ai piedi della colonna di Hera, sospirava respirando a pieni polmoni, quasi in una trance olimpica, una sorta di ode mitologica, il mantra di una sola parola, l’invocazione sacra agli dei, dal suono mistico e vaticinante: “C’est pitagoriche... C'est pitagorique...

In quell’attimo pensare per lui equivalse ad avere respiro, parola difficile da tradurre, essenzialmente un respiro in uno spazio privilegiato, ossia possibilità di pensare durante quel giorno a Crotone, nel privilegio immenso del silenzio pitagorico, una ricchezza ancora insondata, per pochi iniziati appartenenti a una élite umana della fortuna e della felicità.

Perché, come andava dicendo Steiner, in realtà quel “non essere” rimane ancora oggi e “forever” l’unico e misterioso miracolo della mente umana, umanista e non umanoide, avvenuto verso la fine del VII secolo avanti Cristo, proprio qui tra queste pietre spente, dove l’ecista locale fondava Kroton, uno dei crateri in cui avvenne l’esplosione siderale, il big-bang del pensiero astratto della Matematica Pura e dell’Arte, l’interazione della musica e della matematica nella scuola di Pitagora

Tanto che quando si recò nel Liceo Classico intitolato a Pitagora venne accolto con grande calore dagli studenti, ascoltato e venerato come mai era accaduto nella storia di quel Ginnasio a un 'professore'. Fu allora che il “maestro” ci parlò della parola greca “xenos”, di quel che lega, senza contraddizione in termine, amico a straniero e citando Pindaro disse ai ragazzi che:

l’atleta non deve mirare a vincere il suo avversario, deve mirare a vincere se stesso”.